Il disastro è in atto, la rovina
in essere, la fine vicina. Ma ne siamo invischiati,
corrosi da simboli eccentrici e luccicanze lontane e
abbaglianti che spostano soltanto la sensazione del crollo imminente. E
immanente. La finzione sul palco di Santagata
e soci in questo nuovo “Animenere” è, purtroppo,
la copia, surreale, forzata e grottesca, di una realtà tangibile. Sembra la
caduta dell’Impero Romano d’Occidente, decrepito e scalfito dalla noia e dal
benessere, pasciuto e in pace con i sensi. Mancano le colonne doriche per metà
distrutte, gli arazzi calanti e i tappeti logori, le cortigiane fintamente
attraenti e un po’ sovrappeso, ma il kitsch e il trash creato dai Katzenmacher illumina
e mostra anche ciò che non c’è facendocelo immaginare con contorni ancora più
nitidi e violenti. Ogni risata è una conferma alla nostra poca lungimiranza ed
alla costante e presente genuflessione. Non ci interessano i valori, contano i
miti e gli eroi, roba da Carnevale di cartapesta da innalzare con facilità e
con la stessa leggiadria sostituire e farne un falò. Si lotta per la propria
individualità per poi nasconderci dietro e dentro la massa: che così si sbaglia
meno ed è più facile puntare il dito su qualche “fuori uscito”, su qualche
pazzo che ha avuto la malaugurata idea di lanciarsi alla ricerca di qualcosa
che non c’era. Chiamala felicità. E’ un mondo, quello della famiglia, non a
caso, Belmondo (assomigliano a Cetto La Qualunque, il
personaggio di Antonio
Albanese), attuale e vero. I nuovi governatori chiedono calma e fiducia,
sostegno senza dubbi. Fidatevi. Ogni riferimento a cose e persone è perfettamente
legittimo. Ma non ci facciamo più caso. Paghiamo il
biglietto, ci sediamo, stiamo comodi, ridiamo, prendiamo il cappotto, usciamo.
Abbastanza puliti. Al massimo ci lamentiamo, come fa l’intellettuale di corte
(lo stesso Santagata
nel ruolo dello scioperato a vita Paradise) che schifa la genealogia dei dominatori ma dall’altro
lato ne percepisce un cospicuo stipendio mensile, che è molto più semplice, e
meno faticoso, alzare la voce ma poi restarsene a far numero nel gregge e così facendo avvalorare e consolidare l’egemonia. I Belmondo sono
cattolici ferventi ma chiedono il divorzio alle mogli avvizzite per scambiarle
con minorenni straniere, si fanno docce abbronzanti parlando un inglese
maccheronico e manageriale, scendono in politica
urlando e sorridendo dai balconi sputando e facendosi vittime per la cattiveria
dei giudici e le maldicenze delle televisioni e le aberrità
che i giornali scrivono su di loro. “Democrazia” è una parola ributtante, da
cancellare, da elidere, da rifuggirne. La democrazia, è stato dimostrato, non
dà la felicità. La cosa peggiore è che hanno la coscienza pulita. Se non ci
sono punti di riferimento morale è impossibile
sollevare una questione etica sulla gestione della propria esistenza, tanto
meno sulla res publica. E non riescono proprio a capire,
a concepire, a comprendere, chi, quei pochi ancora, che gli sono avversi,
contestatori, non più offesi e contrastati con l’uso delle armi e della
violenza ma assoldati, messi sui libri paga, accolti ed
accontentati, che con la pancia piena non si scende più in piazza a fare i
cortei. Solo in pochi resistono e pagano con la vita la loro depressione (il
suicida Edoardo Agnelli?), il loro non sentirsi parte di quel tutto marcio. La
miglior ricetta per ammansire un nemico non è combatterlo ma farselo amico:
pagarlo, renderlo docile come un agnellino. Giocano a golf, così come tirano
con le pistole: grande finanza e modi spicci da saloon. Vogliono costruire
autostrade faraoniche quanto inutili e distruttive per l’ambiente, collegare il
Tirreno all’Adriatico, privatizzare i musei, cementificare l’Italia con
centinaia di piccoli aeroporti. I Belmondo vogliono ricostruire un’antichità
che non c’è più, stile Las Vegas, attribuirsi una Storia, di templi e arene, di
pomposità classica, ricostruendo, affossando il problematico
presente, con il benestare di Nerone. Che è molto più semplice usare il
lanciafiamme che non politiche sociali adeguate. E il pubblico ne ride. Forse
per salvarsi l’anima. Che rimane comunque nera. Che il palo è complice, ed ha
diritto alla stessa pena, del rapinatore.
Voto
8
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