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Paul Ginsborg
Berlusconi
Torino, Einaudi, 2003; pp. 91

 




                     di Paolo Boschi & Hans Honnacker


Ambizioni patrimoniali in una democrazia mediatica”: così recita il sottotitolo del pamphlet dedicato alla figura di Silvio Berlusconi dal professore inglese Paul Ginsborg, classe 1945, già docente presso il prestigioso ateneo di Cambridge e dal 1992 ordinario della cattedra di Storia dell'Europa contemporanea presso l'Università di Firenze, autore di riferimento della Storia d’Italia dell’Einaudi, tra i fondatori del "Laboratorio per la democrazia" e tra i principali promotori, con il collega Francesco “Pancho” Pardi, dei girotondi di protesta contro il governo di centro-destra. Con una simile curriculum d’impegno politico-civile alle spalle dell’esimio saggista, la pubblicazione del libello Berlusconi da parte dello studioso britannico ha finito per destare scalpore secondo le attese. L’assunto principale dell’analisi di Ginsborg è la logica preoccupazione che l’incredibile accentramento di potere politico, economico e soprattutto mediatico nelle mani dell’attuale Presidente del Consiglio possa compromettere in modo irrimediabile il quadro generale della democrazia italiana. Nonostante il punto di partenza sia quasi scontato nella sua evidenza, risulta apparentemente incomprensibile come la maggioranza degli elettori italiani non sia riuscita ad individuare (o forse non abbia voluto individuare) un pericolo di così limpida portata, tanto ampia che paradossalmente è anche in grado di ‘autorizzare’ i giudizi eversivi verso la propria figura: non a caso tramite la propria famiglia il Cavaliere controlla anche l’Einaudi, editore storico di intellettuali di sinistra, da Calvino fino allo stesso Ginsborg. Un dettaglio sibillino che lo stesso storico fa notare, restando tuttavia scettico se interpretarlo come reale salvaguardia della libertà di espressione o meno: non a torto, peraltro, se anche durante il ventennio fascista autori dichiaratamente contrari al regime, quali Eugenio Montale e Alberto Moravia, poterono pubblicare i loro scritti – Mussolini sapeva benissimo che solo una piccola percentuale della popolazione le avrebbe lette, come forse accadrà al saggio di Ginsborg –. Tentando di dare una spiegazione a siffatto stato di cose in Berlusconi lo storico inglese cerca d’inquadrare il personaggio al centro della sua riflessione in un fenomeno di portata internazionale, ovvero nello sforzo generalizzato dei pezzi da novanta del mondo della finanza e delle telecomunicazioni di impadronirsi direttamente del potere politico o almeno influenzarne i detentori in modo sostanziale, conquistando così la sfera pubblica democratica sfruttando le immani risorse economiche a propria disposizione ed aggiustando ad arte il tiro del fuoco mediatico accentrato nelle loro mani. A giudizio di Ginsborg il naturale punto d’appprodo di simile processo è la trasformazione in senso mediatico della stessa democrazia, un quadro estremamente rischioso a cui sarà necessario trovare una soluzione in tempi brevi, un’esigenza che lo storico inglese rileva sempre più urgente e pressante dal momento che l’Italia, unica tra le democrazie occidentali, sarebbe già retrocessa in serie B, non essendo più una democrazia liberale ma soltanto una democrazia elettorale. Difatti, mentre quest’ultima presuppone solo un criterio di minima – ovvero lo svolgimento di libere elezioni –, quella liberale “prevede criteri più severi di appartenenza. [...]. Una democrazia può essere considerata liberale solo se vi risultano adeguatamente salvaguardate la libertà di fede, di espressione, di organizzazione, di protesta e di assemblea. In secondo luogo devono essere garantiti a tutti i cattadini parità di trattamento di fronte alla legge e certezza del diritto. Terzo, la magistratura deve essere indipendente e neutrale, non subordinata all’esecutivo né ad alcuna parte politica”. Condizioni che, stando allo storico inglese, in Italia non sembrano più del tutto garantite dal governo Berlusconi. Tuttavia, se così non fosse, con humour tutto britannico Ginsborg invita il lettore a stare in guardia ed a non sottovalutare gli uomini politici di piccola statura ma con grandi ambizioni: “La storia, in ogni caso, ci ha insegnato a diffidare dei piccoli uomini con grandi appetiti”. Napoleone, ma non solo, docet...

Paul Ginsborg, Berlusconi, Torino, Einaudi, 2003; pp. 91

Voto 7/8 

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