S1m0ne
Regia di Andrew Niccol
Cast: Al Pacino, Catherine Keener, Eva Rachel Wood, Pruitt Taylor Vance, Winona Ryder, Elias Koteas, Rachel Roberts. Produzione: Niccol Films, Jersey Film, New Line Cinema. Distribuzione: Nexo. Usa, 2002, 117'.
Un'attrice virtuale e un regista demiurgo in una commedia densa di riflessioni sulla verità dell'arte.
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S1m0ne
In Time
Non si può certo negare a Andrew Niccol una certa puntualità
sui temi che oggi maggiormente interessano il rapporto tra uomo e tecnologia,
in particolare per ciò che riguarda la possibilità – o meno – dell’identità del
singolo in un futuro assai prossimo. In Gattaca, di
cui era sia regista che sceneggiatore, Niccol (trentasei anni, di origine
neozelandese) affrontava la questione della manipolazione del codice genetico e
del DNA stesso come ultima frontiera del materialismo scientifico: ciò che
siamo - fisicamente - determina ciò che saremo nella società. E' il corpo a decidere. Un corpo che diventa prigione. The Truman Show (per
la regia di Peter
Weir) ipotizzava lo sguardo totale sull’individuo, un Orwell ridotto a
fenomeno mediatico globale, solo apparentemente innocuo. Ancora un corpo in
prigione, dunque, incantato dall’ignoranza coatta di ciò che si cela oltre un
sistema che lo circonda e lo protegge. In S1m0ne
la tecnologia è impiegata dall’uomo a suo vantaggio, come nei casi precedenti,
ma finisce per prevalere e rendersi, in qualche modo autonoma. Più di una volta
ci aspettiamo che il film
viri verso il fantastico, perdendo ogni verosimiglianza (che è invece il
cavallo di battaglia del regista-sceneggiatore) e facendoci spettatori di una
Simone – letteralmente – viva. E, anche se Al Pacino, seduto
davanti al monitor di un computer, va avanti fino alla fine con i suoi
monologhi, sentiamo che, in qualche modo tali monologhi sono sul filo di un dialogo
e che presto, probabilmente, diventeranno tali. Se Gattaca era un film tragico
e Truman Show
tragicomico, qui siamo certamente in piena commedia. Commedia densa di
riflessioni, dove si dibatte con il sorriso sul significato e sulla “verità” dell’arte,
sul rapporto tra arte e tecnologia, su verità e menzogna. Se il meccanismo
narrativo qui non è perfettamente oliato come negli altri due casi, è perché
l’interesse è spostato prevalentemente sullo stupore dell’uomo dinnanzi alla
sua creazione, creazione che è sempre sul punto di sfuggirgli dalle mani: un
po’ come deve essersi sentito Dio dopo un certo numero di volte che gli uomini
hanno assaggiato la mela fregandosene del divieto.
Sia Ed
Harris/Christof che Pacino/Taransky sono,
in ultima analisi, due registi. Ma se il primo appariva come un autentico demiurgo,
o addirittura un unico dio mediatico in preda alla frenesia del controllo
totale di un mondo replicato in telenovela, Viktor Taransky non è che un
regista sfortunato che crede nell’arte e si trova paradossalmente a gestire e
organizzare un materiale ultratecnologico preesistente, che prende però vita
solo grazie alla sua capacità di vedere “vive” le cose (come gli dice a un
certo punto l’attrice interpretata da Winona Ryder). Anche qui il corpo (degli attori) si rivela limitato e necessita di qualcosa di nuovo che rompa ogni schema. Un corpo virtuale, perfetto, libero. Un corpo che, di fatto, non esiste. Una commedia che
non scade mai nella farsa e non solo grazie alle doti del protagonista: Niccol,
anche quando non è al suo massimo, scrive meglio del 99 % degli sceneggiatori
su piazza.
La top model di Vancouver Rachel
Roberts, ventiquattro anni, interpreta l’attrice virtuale Simone, anche se
nei titoli di coda è accreditata come “Simone as Herself”, giocando fino
all’ultimo con i dubbi dello spettatore. Elias
Koteas, non accreditato, è Hank.
Voto
7
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