Come regista Kenneth Branagh ha dato prova a più riprese di essere un impeccabile traslatore di classici sul grande schermo, con una particolare predilezione per gli immortali drammi shakespeariani – Enrico V, Molto rumore per nulla, Hamlet, Pene d’amor perdute ed il recente Come vi piace – ma anche per classici come il Frankenstein di Mary Shelley. Ovvio dunque che, scegliendo d’incontrare il genere operistica ed in particolare Il flauto magico, l’ultimo capolavoro mozartiano, Branagh ne desse una rilettura da par suo: originale, coinvolgente e ben caratterizzata, nonostante il cast sia costituito da cantanti lirici a scapito degli attori dello starsystem di celluloide. La storia è ben nota ma, come nel caso di Pene d’amor perdute, Branagh ne ha spostato l’ambientazione dall’antico Egitto ad un luogo imprecisato, probabilmente durante il primo conflitto mondiale. Capita che il protagonista Tamino, valoroso ufficiale, intraprenda un viaggio d’avventura in cerca di amore e pace in un tempo di guerra dominato da caos, distruzione e morte: la missione gli sarà affidata da tre infermiere dai tratti incantati, che non a caso operano per conto della regina della notte. Nel rischioso compito sarà accompagnato da Papageno, il responsabile dei canarini usati per scoprire la presenza di gas in trincea: il compito dei due consisterà appunto nel salvataggio di Pamina, la splendida figlia della Regina della notte, che è caduta nella morsa del temibile Sarastro, presunto signore delle tenebre. I due soldati raggiungeranno il loro obiettivo attraverso un magico, fiabesco e tortuoso itinerario di scoperta e di crescita che li costringerà a superare ardue prove per ottenere l’amore e far trionfare il bene sul male, garantendo così un futuro a milioni di persone: per strada scopriranno ben presto che le apparenze spesso ingannano e che Sarastro, più che un signore della guerra, è un maestro di saggezza. Il flauto magico è una spettacolare e godibilissima rilettura dell’omonimo capolavoro di Mozart, con una sostanziale fedeltà rispetto alla fonte letteraria, eccettuando ovviamente l’ambientazione storico-geografica. Da notare che i brani sono interpretati in inglese: il libretto d’opera in tedesco per l’occasione è stato infatti tradotto con grade efficacia dallo scrittore Stephen Fry. In ogni caso la storia risulta così coinvolgente che il pubblico neanche avvertirà la fatica dei sottotitoli. Una perla di fine stagione davvero da non perdere.

Voto 8