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Quando Bartali conobbe Paolo Conte
Addio Gino!!!
Un ricordo fiorentino del grande campione
Quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali...

 




                     di Fabio Norcini


Giovedì 7 marzo 1997: un cartoncino dove è scritto "Videomusic e CGD sono lieti di invitare al concerto ACOUSTICA di Paolo Conte presso lo studio Telerecord, via della Balduccia 69 San Mauro a Signa". Massimo Bertolaccini di Videomusic mi aveva pregato di creare l'avvenimento nell'avvenimento, fare incontrare Gino Bartali con l'autore della canzone a lui dedicata che, come appurai in seguito, non si erano mai conosciuti. "Il disco me lo mandò Jannacci - mi disse Gino - e credevo l'avesse scritta lui". Con mille complicazioni riuscii a convincere Bartali, anche grazie ai buoni uffici di Narciso Parigi, che si prestò a fare da autista e accompagnare il campione nel luogo, davvero sconosciuto e "inculapaperi", per usare un espressione bartaliana, del concerto. Dire che fu un avventura è dire poco. Ci trovammo a casa di Bartali in piazza Elia della Costa. "Voi siete giovani, ma io devo tornare a casa presto, mia moglie ha questo dannato morbo di Amsterdam e non posso lasciarla sola, ha bisogno di me" ci disse Bartali. Lo rassicurammo su un precoce rientro e ci avviammo verso l'ignoto studio Telerecord. In macchina Gino redarguiva Narciso che si avvicinava aggressivamente ad un ciclista: "stai attento, lo vedi che è in bicicletta; pedala lui, bisogna rispettarlo!". Strada facendo si lasciò andare ai ricordi: "Tutti pensavano che io fossi democristiano e Coppi comunista. Era il contrario. Venne dal fatto che portavo il distintivo dell'ACLI, un circolo di Ponte a Ema al quale mi ero iscritto per far piacere a degli amici. Era Fausto che andava in chiesa ed era un baciapile, io sono stato sempre di sinistra. Certo che adesso dovrei cambiare il mio motto. Il famoso è tutto sbagliato è tutto da rifare ora si può sintetizzare con non c'è più tempo". Non nascose la sua viscerale antipatia per la politica: "Una cosa sporca. Mi ha chiamato anche Sgarbi per candidarmi ma l'ho mandato...." In chiacchiere trascorse il viaggio, le chiacchiere di Gino, provocato da me e dall'amico Parigi, sempre brillanti, spiritose, con il riverbero di una saggezza antica e indomita che riconduceva sempre, però, ai suoi sacri valori. La famiglia, i figli. Sua ossessione il ritorno, per tornare dall'amata moglie con "il morbo di Amsterdam". Naturalmente ci perdemmo negli osmannori delle Signe. "Gente che va a letto innanzi sera, merita il basto il bastone e la galera" declamava Narciso Parigi nelle sperdute lande e borghi deserti. Fortunatamente spuntò una parvenza umana, subito inseguita e interpellata: "Scusi lo studio Telerecord, via della Balduccia?" Il tipo, sulla cinquantina, naturalmente in bici, appoggiato al finestrino, ci fornì provvidenziali indicazioni. Ma continuava a guardare Bartali, finché alla fine sbottò: "Scusi, ma lei è il famoso corridore Coppi?". Gino non fece una piega, gli allungò la mano e gliela strinse. Noi schiantavamo dal ridere. "Cosa ridete -brontolò- così siamo contenti in due: io e lui".

Arrivammo infine alla meta. Come d'accordo Conte concluse la prima parte del concerto proprio con "Bartali" e nell'intervallo lo raggiungemmo in camerino. "Poi si va via, si torna a casa", perentorio Bartali si raccomandava lungo il corridoio. L'incontro fu a dir poco esilarante. Conte commosso, al cospetto del mito, un abbraccio. E Gino: "senti Conte, la canzone mi piace ma la fa meglio Jannacci. Eppoi, te lo devo dire, c'è una strofa che mi fa incazzare: cos'è questa storia del naso triste come una salita? Io a naso non sto male ma te, ti sei visto, che nappa ti ritrovi?" Forse in tale situazione il bofonchiante cantautore si sentì come lo Sparring Partner di una sua canzone: messo alle corde non poté però fare a meno di ridere e abbracciare di nuovo il campione che ai francesi fa ancora girare le palle.

Grande momento. Non poteva che venire da Bartali, sul quale oggi se ne leggono tante, molte belle e bellissime. Ma la più bella si trova su un libro di Maro Marcellini, una testimonianza di Gino sull'alluvione e merita la rilettura.

"Per tutto quello che avevo perso ebbi centomila lire. Non rientravo in nessuna categoria, avevo soltanto la tessera di corridore che, a quanto sembrava, non valeva nulla (...) Sono quello che ha corso più di tutti e che ha guadagnato meno di tutti, ma non me ne frega niente. Tanto di là i soldi non se li porta dietro nessuno. E' vero che mi hanno dato un sacco di onorificenze ma se qualcuno le vuole gliele regalo. Le ho avute da gentaglia. Mi dicono che sono un mito, ma che mi importa a me di essere un mito. Il mio amico Kubler, lo svizzero, prende tre milioni e mezzo di pensione al mese, altro che mito! Meno male che l'Arno non si prese anche la mia bicicletta. Forse perché era in soffitta. Ce l'ho ancora e ogni tanto la presto a qualche museo. Con quella, in acciaio e alluminio duro, ci ho fatto tutte le corse. Ha una moltiplica, sempre la stessa, che ha fatto più di cento ottantamila chilometri. (...) Quando ripenso ai tempi dell'alluvione, così come quando penso a tutta la mia vita passata, ringrazio sempre Dio per avermi dato due cose per ogni cosa buona che ho fatto. E lo ringrazio anche per la salute che ancora mi dà. Alla mia età me la cavo ancora bene e leggo anche le scritte più piccole, come quelle sulle polizze dell'assicurazione dove lavora uno dei miei figli, senza bisogno di occhiali. Chi lo sa forse la polvere che m'ha dato Coppi m'ha fatto bene agli occhi".

La polvere che ha dato Gino ha fatto bene a tutti noi e, anche se farà piacere un bel mazzo di rose, dopo quest'ultima volata, una birra fa gola di più....

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