Questo libro, come viene specificato nell’introduzione,
vuole essere un saggio che analizza lucidamente non solo le pellicole gay, nel
suo essere film, lontano da qualsiasi dichiarazione politica; ma si vuole
inserire in una più vasta visione che porta ai nodi principali della questione
quotidiana di vivere e sentire il pensiero anormale gay. Oggi irrimediabilmente
la militanza
( matrigna ) che ha contraddistinto i movimenti gay negli
anni della presa di coscienza, devono riabilitarsi in un contesto lontano dalle
pastoie e moine del politicamente corretto, per diventare il senso ultimo di un
vissuto che incarni una nuova consapevolezza, senza ipocrisie e lontani dalle
barriere morali esistenti della cultura fallocentrica imposta da una ortodossia
eterosessuale. In poche parole il saggio di Pier Maria
Bocchi, ragiona sulle cause e sugli effetti di una metodologia queer che
non ha più trovato soluzioni integrative pervicaci, attraverso manifestazioni
di festival a tema o di riconoscimenti iconici orami desueti nella sua forma
sociale, ma che si trasformi in concreto come elemento non omologante. Per
intenderci, come viene spiegato nel bel capitolo “l’omosessualità nei generi”,
l’omosessualità deve diventare finalmente storia tra la storia, e non tema, e
questa sarebbe il riconoscimento di una vittoria: la libertà di mercato
dell’omosessualità, anche se questo comprometterebbe la sua specificità e
quella differenza contro-omologante. Come è vero che il queer e di sua natura lo slittamento del
genere ( gender ), fuori dalle coordinate preordinate, e se è vero che
l’omosessualità si voglia liberare dalla catalogazione della cultura dominante,
deve diventare un virus che contamini essa. Solo assumendo queste
caratteristiche, il pensiero queer non diventa istituzionalizzato e ugualitario
come agli altri, ma possa correre
parallelamente, conquistando una importanza giustamente paritaria, ma con le
proprie differenze, distanziandosi dalle dinamiche consuete. Questo si può
spostare dal contesto cinematografico per innestarlo in una nuova visione queer
dell’oggi, che si rinnovi sia nel linguaggio culturale e critico, modulando
attitudini nuove contro i codici tradizionalistici. Un saggio che ha la forza
della ragione, non intesa ideologicamente, ma libera dagli intendimenti esterni,
che processa con spirito critico la militanza
matrigna, le istituzioni del potere, passando per l’iconografia virile e
queer, con il passo solido e intransigente di chi vuole far risaltare l’impasse
del tempo e di una ottusità irragionevole che proviene dal considerare i
concetti di allora come consuetudini normalizzanti. Non meno interessante e il
paragrafo dedicato allo stereotipo queer, che analizza i diversi film e autori
nelle diverse correnti. Il vittimismo è una componente discutibile in alcuni
frammenti della cinematografia viscontiana, mentre Fassbinder è capace di
esplorare l’erosione dell’istituzionalismo indotto, quanto a Derek
Jarman, il suo cinema si rifugia in una rancore militante, che con gli
anni, è invecchiato nel suo argomentare tale universo. Considerazione a margine
di opere che assumono agli occhi ancorati di oggi un nuovo significato e
attente valutazioni. Per concludere una efficace intervista al regista
indipendente Bruce LaBruce, che
sottolinea e amplifica con le sue parole i concetti portati avanti dal saggio.
Mondo Queer è una occasione unica per comprendere che l’anormalità sfuggente,
non ha colori ma solo emozioni condivisibili.
Voto
8 ½