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Roberto Curti
Italia odia – il cinema poliziesco italiano
Una pagina di cinema tutta da scoprire
Lindau editore, Le comete, pp.430, € 24,00

 




                     di Matteo Merli


Il cinema poliziesco ha avuto un ruolo principale in Italia, attraverso la sua declinazione di genere che più di ogni altro è riuscito ad far emergere le contraddizioni di un bel paese non così solare come può sembrare a occhi stranieri. Lo stivale italiano lungo la sua deformazione geografica, convivono luoghi e tradizioni oscure, sintomatiche di un retaggio storico incancrenito, destabilizzando un presente, come si può ben vedere privo di slanci culturali e che in primis ha visto il cinema ridursi alla mercé del potere del tubo catodico. I generi non esistono più, e questo si dice da lungo tempo, ma probabilmente è morta l’idea stessa di generare storie che possano tramite una matrice riproducibile, ricondurci a quello che siamo diventati. Mentalità scaduta, forse è questo che ha imposto un esercizio visivo spento nelle sue forme, tra commedie e drammi ripetitivi. Non era così ai tempi del boom economico in poi, dove la libertà creativa trovava ogni sbocco, e la settima arte italiana primeggiava nel mondo. Il genere poliziesco nasce con il film La polizia ringrazia di Stefano Vanzina ( In arte Steno ) che nel 1972 incassa una cifra considerevole e fa da apri pista a un nugolo di epigoni fino alla fine degli settanta. Ma se ci guardiamo indietro, il poliziesco è sempre stato legato alla realtà del paese, soprattutto nel dopoguerra con pellicole come Il bandito di Alberto Lattuada e Il bivio di Fernando Cerchio, passando attraverso registi legati al sociale, come Rosi, Lizzani e Vancini. Il poliziottesco, declinazione per rimarcare la sua genesi italiana sulla scia del spaghetti western, sono opere di derivazione popolare che lanciano nuovi divi e si affida a registi di solido mestiere come Enzo G. Castellari o Umberto Lenzi, che trovano terreno fertile per esprimersi al meglio. Accanto ovviamente ai prodotti campioni d’incassi, pullulano prodotti di bassissimo costo, a testimonianza di un sottobosco artigianale brulicante. Il poliziottesco è sempre stato considerato come specchio destrorso nel suo qualunquismo schematico, che contrappone buoni e cattivi. Invece è un filone che trova linfa vitale nei mutamenti della realtà italiana dell’epoca, assimilandone le ansie e le contraddizioni, mascherando una doppia società: da una parte il soggetto garantito e integrato, dall’altro l’emarginato e il disoccupato. Nella sua durata, il poliziesco italiano è stata l’ultima possibilità produttiva, per imporre sul mercato internazionale un immaginario competitivo con quello americano. Il resto di questo filone oggi trova una sua collocazione sul piccolo schermo, ma i rapporti in causa sono mutati e si è addomesticato il contenuto per poi allontanarsi da una interpretazione dei fatti che rende tutto edulcorato e pronto per dare speranza alla famiglia di turno in prima serata. Il lavoro del critico Roberto Curti è impagabile nel rintracciare dal primo capitolo Italia nera le radici del genere poliziesco fino al vertice del genere tra il 1972-1980, studiando attentamente i diversi accostamenti le trasformazioni e analizzandone la struttura portante, con lucidità metodica senza disdegnare il racconto come filo conduttore lungo le radici critiche cinematografiche e storiche di un passato non troppo distante.

Voto 8 

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