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Umberto Eco
Storia della bruttezza
La rivincita del brutto, dal mondo classico al contemporaneo
Bompiani, 2007, pagg. 456, € 35

 




                     di Camilla Pisani


Repellente, orrendo, schifoso, sgradevole, grottesco, abominevole, odioso, indecente, immondo, sporco, osceno, ripugnante, spaventoso, abbietto, orribile, orrido, orripilante, laido, terribile, terrificante, tremendo, da incubo, mostruoso, ripulsivo, disgustoso, nauseabondo, fetido, spaventevole, ignobile, sgraziato, spiacevole, pesante, indecente, deforme, difforme, sfigurato: questi sono solo alcuni degli aggettivi con cui si parla e si rappresenta la bruttezza. Di ognuno di questi aggettivi Umberto Eco fornisce, nel suo libro “Storia della bruttezza”, esempi letterari e artistici. Dopo secoli di estetiche della bellezza, finalmente anche la bruttezza ha una sua storia, finalmente costituisce un campo d’interesse ben definito. Si dice che ''Le ombre contribuiscono a far risplendere meglio le luci”; si tende quindi a considerare il brutto come semplice concetto la cui presenza è giustificata unicamente dalla sua funzione antitetica rispetto al bello, quasi che la definizione dell’uno implichi necessariamente quella dell’altro, in un rapporto di dipendenza in cui il soggetto principe è sempre e comunque la bellezza. Da Platone in poi, infatti, i pensatori di ogni secolo hanno scritto sul bello, mentre l’unica estetica del brutto è quella di Karl Rosenkranz del 1853 (edita in Italia dal Mulino, a cura di Remo Bodei). Ma, come ci fa notare Eco, le manifestazioni della bruttezza attraverso i secoli hanno risvolti più ricchi e imprevedibili di quanto si possa pensare. Il vero flirt dell'arte con il brutto esplode in epoca romantica, ed è proprio Hugo ad introdurre l’idea che l’arte cominci col brutto, e a creare l’informe Quasimodo. Ed è quasi nella stessa epoca che si impone la bruttezza del mondo industriale di Dickens, la figura del malato e il culto del mortuario ( con La Traviata di Verdi e Fosca di Tarchetti), la poetica della decadenza di Baudelaire. Per comprendere l’effettiva percezione del brutto nelle varie epoche è necessario quindi avere come riferimento le sue rappresentazioni artistiche; ma, mentre è molto semplice effettuare una storia della bellezza seguendo precisi criteri storici e temporali, per poter effettuare un’analisi organica e verosimile del brutto è spesso necessario confondere le epoche, procedendo non per secoli ma per temi. E infatti il libro è suddiviso per capitoli che confondono le epoche della nostra cultura con temi specifici, come il Diavolo, la stregoneria, la donna, il mostro. E, anche se Eco ci avvisa che “il brutto è relativo ai tempi e alle culture”, è anche vero che una cosa orribile resta orribile: ciò che cambia è la nostra disponibilità percettiva, il sentimento del disgusto e dell’orrore. Per capire la bruttezza, come la bellezza, bisogna soffermarsi sui vari momenti storici, sul susseguirsi di canoni estetici. Ma è sbagliato pensare che per capire i gusti di un'epoca vadano ascoltati soltanto i filosofi e i letterati, anzi, è necessario capire soprattutto cosa fosse la bruttezza per la gente comune. Il discorso dell’autore spazia quindi dall’arte classica, con riferimenti alle Arpie, ai Ciclopi e al Minotauro, passando per la satira di Orazio e Marziale e proseguendo poi con i versi di Cecco Angiolieri e Boccaccio, e ancora riflettendo sul rapporto tra estetica e rappresentazione del dolore partendo dal concetto hegeliano secondo cui “il brutto entra nell’arte solo col cristianesimo” , per arrivare, attraverso Bosch e Lombroso (con i suoi studi sulla fisiognomica, riconducibili in qualche modo al concetto di kalokagatìa greca), al moderno “trionfo del brutto”, in cui la bellezza non è più una categoria usata nel giudizio estetico, ma è sostituita con quella di sperimentazione formale; l’opposizione sparisce, e brutto e bello diventano due opzioni possibili da vivere in modo assolutamente neutro. Ne è un esempio l’opera “I bimbi morti” di Maurizio Cattelan, messa in scena del disagio di tanti giovani, schiacciati dalle contraddizioni di una contemporaneità disincantata nella quale faticano a trovare un loro spazio, concretizzazione delle paure del terzo millennio, ma soprattutto racconto amaro sull’infanzia urbana, epilogo di una favola che trova le sue radici molto indietro nel tempo. L’installazione, per quanto cruda e sconvolgente, non ha però avuto un impatto univoco: dimostrazione di come bellezza e bruttezza non costituiscano più categorie estetiche assolute, per quanto siano le due facce della stessa medaglia. E ancora, dicotomia nelle reazioni ha suscitato la campagna anti-anoressia ideata da Oliviero Toscani e interpretata dalla francese Isabelle Caro, ex-modella di 31 chili. Censurata in molte città, osannata in altre, la campagna mette in scena l’orrore dell’anoressia, mette in piazza quello che c’è dietro le figure patinate e spettacolarizzate che ogni giorno ci vengono proposte come modelli di bellezza, come esempi da seguire; è il paradosso la vera provocazione, la reale causa del “nostro” stupore. Bombardati da tutta la vita da vestiti taglia 38, dall’ondata massmediatica di colli da cigno e gambe da fenicottero, dalla comune e condivisa convinzione di chaneliana memoria, secondo cui “non si è mai troppo magri e mai troppo ricchi”, persuasi della necessità di una magrezza a tutti i costi come prezzo dell’accettazione sociale, rimaniamo a bocca aperta di fronte alle reali conseguenze della ricerca della presunta “perfezione” fisica: non ci piace riflettere su un corpo denutrito, lanuginoso e fragile, ci disgustano i segni della psoriasi, distogliamo lo sguardo da un’ essere così palesemente distrutto, ci rivolta lo stomaco il manichino privato del suo abito. Eppure, nonostante il ribrezzo che ci evocano quelle ossa scoperte, rimaniamo a guardare, attoniti e affascinati. E’ la seduzione del brutto, il suo implicito ma palpabile legame col bello, il fascino del freak. Ed è questo che vuol dirci Eco nella sua “Storia della bruttezza”, è questo che si percepisce osservando e leggendo; un paradosso così intuibile che persino il primo editore straniero che ha esaminato l’opera non ha potuto che esclamare: “Com’è bella la bruttezza!”.

 

 

 

 

 

 

L’altra faccia della medaglia

 

Il rapporto tra bello e brutto

Visto da Toscani

 

Le favole metropolitane di Cattelan

Oltre alla recente “Storia

della bruttezza”,Umberto

Eco ha pubblicato, nel 2004

una “Storia della bellezza”,

in cui si avvale

della storia dell'arte e

della storia dell'estetica

per ripercorrere la storia

di un'intera cultura.

Il volume è edito

Da Bompiani nella

Collana “Saggi”.

La campagna contro l’anoressia

ideata da Oliviero Toscani è stata realizzata

per la griffe Nolita. Approvata dal

ministro della salute Livia Turco, si rivolge

in particolare alle giovani donne attente

alle indicazioni della moda e intende

richiamare l’attenzione dell’opinione

pubblica sulla malattia che, insieme alla

bulimia, colpisce in Italia due milioni di

persone.

Esposta il 6 maggio 2004 in

Piazza XXIV Maggio a Milano,

l’installazione ha suscitato reazioni da una parte entusiaste, dall’altra

inorridite, portando addirittura uno

sdegnato spettatore ad

arrampicarsi sulla quercia

“incriminata” allo scopo di

liberare i manichini.

 

 

Sitografia e fonti: La Repubblica, Cultura e Spettacolo

              

                              Yahoo, Notizie e società

 

                               Wikipedia

 

                               L’Espresso

 

                               Ansa

 

                               Il Messaggero

 

 

Approfondimenti: Maurizio Cattelan

 

                               Nolita

 

                               Umberto Eco

 

                               News letterarie online

 

 

 

 

Voto 8 

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