Far East Film7: presentazione del festival 2005
Far East Film7: Hong Kong & Cina
Far East Film7: Corea del Sud
Far East Film7: Giappone
Da sempre, sosteniamo che il cinema della
Corea del sud è indispensabile per comprendere le dinamiche interne ai
diversi genere e per comprendere da vicino la vitalità di questa nazione nel
campo della settima arte. Oltre gli autori affermati come Kim
Ki-duk e Hong Sang-soo, si
può notare che l’intento dell’industria coreana è quella di mettere in cantiere
opere popolari, dove si stenta a ritrovare una cifra stilista chiara, se non in
rare eccezioni. A Family di Lee Jung-chul, racconta il
dramma di una giovane donna che uscita dalla prigione per un omicidio, si
ritrova ad dover ricucire un rapporto difficile con il padre, che si vede
costretto ad educare il fratello più piccolo in condizioni poco agiate.Un
melodramma familiare intessuto sul dissidio tra la ragazza e il padre, che
porterà alla luce il profondo legame che li unisce. Una pellicola ben
strutturata che conferma la capacità del cinema coreano nel confezionare opere
di genere coinvolgenti. Road, rappresenta il tratto visivo di un autore come Bae Chang-ho, alle prese con
un dramma di un fabbro sempre in viaggio nella Corea degli anni settanta e che
incontra una ragazza, che scoprirà essere la figlia del suo ex-amico. Questa
amicizia profonda sarà l’elemento scatenante del ricordo, trasportando le
emozioni del fabbro lungo un percorso di dolore e incomprensioni. Un dramma che
attraverso il tragitto della strada, assume il peso schiacciante del tempo,
dove solo la consapevolezza dell’amore e del bene trasmesso danno il senso
compiuto dell’esistere. Someone Special è la commedia
di Jang Jin, regista
dell’apprezzato Guns & Talks,
qui alle prese con un giocatore di Baseball incapace di riconoscere l’amore
vero, che lo trova in una barista, da sempre innamorata di lui fin da piccola.
Un opera piatta nella sua messa in scena, incanalata in uno sviluppo narrativo
convenzionale e privo di spessore. Una delle sorprese nella sezione coreana è
stata la presentazione di Green Chair. Mun-hee, appena
trentenne e divorziata, si è innamorata di Hyun, che
frequenta il liceo. La donna viene arrestata per aver fatto sesso con il
minorenne, ma al suo rilascio il giovane l’aspetta davanti al commissariato. Il
filtro usato da Chul-soo è quello di comprendere la
figura della donna nella società coreana, che ha la forza di decidere per la
propria vita e lo fa scegliendo l’amore di un ragazzo. La loro vita sessuale e
sentimentale sono lo specchio di un incontro/scontro inevitabile, comprensibile
di una maturazione del loro rapporto, dove le tradizioni maschili e di facciata
risulteranno perdenti, ma consegnando a loro un futuro di aperta felicità. Un
film basato su diversi registri, che vanno dal dramma alla commedia, con due
attori efficaci, ma che il regista solo in parte riesce a dare forza ad un
soggetto che prende troppe strade in una sola volta. Da citare almeno il bel
omaggio dedicato a tre direttori della fotografia, dove appare anche il nome di
Kim Hyung-koo, celebre per
aver illuminato pellicole come Peppermint Candy e Memories of murder,
autentiche gemme della cinematografica, che gli spettatori hanno avuto
l’opportunità di rivedere o scoprire. Come dicevamo in apertura, il cinema
coreano si muove lungo un percorso che rispecchia i canoni del cinema classico,
che sembra lasciare poco spazio alle istanze d’autore di registi dal carattere
personale, le eccezioni come ben sappiamo esistono, bisogna solo constatare
quale sarà il futuro di questa cinematografia fortemente controllata da grosse
case produttrici, e se sbocceranno nuovi talenti da coccolare e amare.
Voto
7