Una grande tristezza nel cuore ci lascia la morte di Umberto Bindi. La stessa tristezza che ci aveva accompagnato il giorno della morte di Bruno Martino, la tristezza che sorge spontanea quando un'artista se ne va nella generale indifferenza, soprattutto di quel mondo cui tanto aveva dato, in talento e passione. Dell'emarginazione progressiva di Bindi, per la sua dichiarata omosessualità e per gli eccentrici atteggiamenti che lo caratterizzavano, tutti sapevano. Qualcuno si è mosso, quando si è trattato di fargli assegnare le facilitazioni della legge Bacchelli, iter conclusosi non più di un mese fa. Ma di restituirgli il posto che meritava nel panorama della canzone d'autore italiana, nessuno si è ricordato. Dei genovesi storici (Paoli, Tenco, De Andrè, Lauzi) Bindi fu il primo ad affermarsi in piena era "urlatori". Il suo approccio era decisamente più soft e romantico, con interpretazioni intense, da vero crooner. Bindi era estroso, stravagante almeno quanto Buscaglione ma non capace di integrarsi allo stesso modo nel giovanissimo show-business della canzone. Amava la musica classica, aveva studiato al Conservatorio e cercava ispirazione più in Verdi e Puccini che nei cantautori francesi. Sapeva tessere strutture musicali inconsuete, come quella della celeberrima Arrivederci, divinamente ascendenti come in È vero, con introduzioni complesse come Il nostro concerto. Energie musicali centripete rispetto a quel primo fiorire di pop, che lo portarono ben presto lontano dalla cuccagna, a girare night fumosi, locali di second'ordine e palcoscenici di provincia. Con Califano scrisse nel 1967 La musica è finita, ultimo successo prima di riapparire nel 1996 nella kermesse sanremese a fianco dei New Trolls con Letti: un malinconico ventesimo posto (meglio aveva fatto nel 1961, quando con Miranda Martino si era classificato undicesimo con Non mi dire chi sei), accompagnato dall'ennesima dimostrazione di classe. L'ultimo regalo indiretto glielo ha fatto Nicola Arigliano, che ha inserito una straziante versione di Arrivederci nel suo bellissimo disco dal vivo. Bindi è stato un raffinato innovatore, come molti suoi compagni di strada troppo in anticipo sui tempi e destinato quindi ad una triste parabola discendente. Tra i pochissimi omaggi, ricordiamo un bel disco di Giancarlo Cardini, per la Materiali Sonori. Per altri, Sergio Endrigo su tutti, la rivalutazione è arrivata in tempo. Umberto non ce l'ha fatta: il suo concerto è cominciato troppo tardi.
Voto
8
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