Roma è uno spazio mentale, non solo un quartiere nella babele immensa di Città del
Messico, dove nasce e si evolve il pensiero sentimentale di Cuarón,
che inietta la sua esperienza di vita in questo racconto di una famiglia borghese che si sfascia nel Messico degli anni 70. Il tempo si formula in carrellate lente e avvolgenti a seguire Cleo, la domestica della famiglia, che entra dai margini per pian piano svelare le crepe esistenziali di un rapporto, tra marito e moglie oramai alla fine. E’ questo sguardo dal basso, di Cleo, che mette il cuore il quello che fa, anche verso i bambini, e che nel
momento dello sfacelo della coppia, scopre di essere incinta di un nullatenente
dedito alle arti marziali. La forza si veste di rosa, con il coraggio e la caparbietà della madre e di Cleo, che cercano di andare avanti in una città in rivolta, dove regna
la mano maschile dell’indifferenza e della violenza spiccia. Cuarón sembra stare nel quadro di un Jean Renoir nel muore le sue pedine dal basso verso alto, dalla gente lavoratrice e semplice verso i borghesi arricchiti, come segnare uno
stacco di classe evidente e marcato, come si nota nella scena della festa di Capodanno in campagna, dove Cleo incinta nella cena dei domestici in cantina, gli cade la coppa del buon augurio ( simbolo di un futuro nefasto ) salendo i
gradini in alto, nella terrazza della villa signorile, vede la signora circuita
da un uomo che l’incita a fare sesso, senza che questo accada, sottolineando la forza reattiva delle due donne, mai avvinte e arrendevoli alle
circostanze. Qui la regia, nelle sue carrellate e costruzioni delle immagini, esemplificano l’energia femminile di queste due donne, vere eroine in un mondo tetro e arrivista, ma che attraverso l’amore per i bimbi, trovano la spinta ideale per poter andare avanti e soprattutto per Cleo di sfidare la gravità e raggiungere le vette alte
dell’indipendenza personale.
Voto
9
|
 |
|