La stagione espositiva autunnale della GAM di Torino si apre con la mostra
dedicata al ciclo pittorico La Gibigianna realizzato nel 1960 dall’artista albese Pinot
Gallizio. Si tratta di un vero e proprio evento considerando il fatto che il ciclo venne esposto soltanto
cinque volte in poco meno di cinquantanni e che è
rimasto integro grazie alla lungimiranza del gallerista tedesco Otto van
de Loo che, quando nel 1962 lo espose nella sua
galleria di Monaco di Baviera, decise di acquistarlo in toto. Ed è proprio dalla stessa
famiglia van Loo che la GAM di Torino è ora riuscita
ad inserirlo nella propria collezione permanente del Novecento grazie al
contributo della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT che, da un
iniziale accordo per ottenere le opere in comodato, è riuscita ad acquistarle
definitivamente.
L’allestimento espositivo ricrea volutamente le sale
di una galleria privata, ovvero quell’ambiente dove
per la prima volta il pubblico vide i cinque quadri e le due tele (l’ottavo
quadro, che nella sequenza cronologica appare come il sesto, verrà dipinto da
Gallizio poco tempo dopo gli altri sette) della Gibigianna, opera fondamentale nell’attività di Pinot Gallizio, il quale si accostò alla pittura ormai cinquantenne.
Dopo la laurea in Chimica e Farmacia presso
l’Università di Torino nel 1924, Gallizio apre una
farmacia ad Alba, sua città natale, che chiude dopo undici anni di attività nel 1941 per dedicarsi alla produzione di erbe
medicinali e aromatiche, prodotti chimici ed industriali, particolari
lavorazioni di trementina ovvero alla così detta “chimica vegetale”. Personaggio poliedrico e sensibile a tutto ciò che è legato alla
sua terra, Gallizio coltiva l’interesse per
l’archeologia e la geologia e ripristina antiche tradizioni locali, quali il
Palio degli Asini. Non dimenticando l’impegno politico, ricopre la
carica di Consigliere Comunale ad Alba per oltre un decennio dopo avere
partecipato alla lotta partigiana di liberazione.
L’incontro con la pittura avviene nel 1952 in seguito alla
conoscenza del pittore torinese Pietro
Simondo che lo avvia verso le prime
sperimentazioni in campo artistico con l’impiego di resine naturali. L’approdo
decisivo di Gallizio all’arte avviene nel 1955 quando incontra casualmente ad Albisola
Marina (Savona) il giovane e già affermato artista danese Asger Jorn, fondatore
nel 1948 con Alechinsky, Constant, Corneille e Appel del gruppo
COBRA (acronimo delle città d’origine degli artisti: Copenaghen, Bruxelles
e Amsterdam) e sostenuto dal gallerista Otto van de Loo. In quello stesso anno Jorn, Gallizio e Simondo
fondano ad Alba il “Primo laboratorio di esperienze immaginiste”, subito ribattezzato “Laboratorio
sperimentale”, con la finalità di superare l’aspetto eccessivamente razionale e
programmatico del fare pittura e cercando di recuperare quelle tematiche
teosofiche, meno indagate, della prima
Bauhaus fondata a Weimar nel 1919 da Walter Gropius.
A conferma della continua sperimentazione, nel 1957 Gallizio elabora e realizza i primi esempi di rotoli di pittura
industriale, ovvero una pittura provocatoriamente
fatta e venduta a metro, mercificata come un qualsiasi oggetto anonimo e d’uso
comune. In questa elaborazione Pinot, aiutato dal
figlio Giorgio (Gios Melanotte),
dà vita ad un segno pittorico energico, variato, pluridirezionale
ovvero informale, dove è difficile scorgere quelle forme antropomorfe e psicogeometriche che di lì a poco caratterizzeranno il
ciclo della Gibigianna.
Fase antecedente alla Gibigianna è la
pittura realizzata per la Caverna dell’antimateria, vale a dire
una concretizzazione pratica della teoria dell’antimondo, una versione in
chiave spiritualista dei principi dell’antimateria elaborata alla fine degli
anni Quaranta dal fisico italiano Francesco Pannaria.
Si tratta di un momento di “nuova rinascenza”, di un nuovo
modo da parte di Gallizio di vedere e di fruire la
pittura che, da semplice esperienza visiva, diventa un’esperienza plurisensoriale. Nel maggio del 1959, infatti, l’artista
inaugura alla Galleria Drouin di Parigi la mostra
intitolata “Caverna dell’antimateria”, ovvero una vera
e propria costruzione di un ambiente pittorico, essendo l’interno della
galleria totalmente rivestito dal pavimento al soffitto con tele dipinte da Gallizio e dal figlio. Con questo allestimento
si chiede ai visitatori di entrare fisicamente nella pittura osservando,
toccando, ascoltando e annusando ciò che li circonda, seguendo quindi
l’esortazione dell’autore di “camminarci sopra”.
Nel 1960 avviene la svolta nella produzione di Gallizio: il ritorno alla dimensione ridotta del quadro e
l’uso di segni geometrizzanti in funzione vagamente
antropomorfa. Ed è proprio il ciclo
pittorico della Gibigianna
a sancire questo cambiamento: otto tele che raccontano la “triste e lagrimosa storia del re di pipe” esposte per la prima volta
nella storica Galleria Notizie di Torino, diretta da Luciano Pistoi, e, successivamente,
commentate da Maurizio Corgnati con strofe in rima
baciata nella pubblicazione monografica a colori, Pinot Gallizio.
La Gibigianna.
L’uomo di Alba, edita dai Fratelli
Pozzo di Torino nel 1960. Al valore artistico delle tele si affianca una
valenza narrativa di una sorta di pittore – cantastorie. “E – come scrive la
curatrice della mostra, Maria Teresa Roberto, nel testo in catalogo –
l’ambiguità si ripresenta nella titolazione dei singoli elementi: Quadro primo, Quadro secondo, […] in una elencazione che può evocare il susseguirsi dei fondali
di uno spettacolo di piazza, o ricordare, su un versante opposto, le sigle
numeriche che identificano le opere di molti pittori americani dalla fine degli
anni Quaranta, Pollock e Still,
Rothko e Reihardt.”
Del processo creativo della Gibigianna non
esistono appunti, schizzi o note sui diari di Gallizio
a differenza di ciò che l’artista era solito fare quando si accingeva ad
affrontare un nuovo tema pittorico. Quindi questo tour de force creativo, composto da otto
tele di grande formato realizzate in pochissimo tempo, ci appare in un istante
ideativo ed esecutivo come una sorta di magia, di sortilegio, di fugace
luccichio come spiega l’etimologia stessa della voce lombarda gibigianna. L’unicità del ciclo pittorico consiste,
inoltre, nel fatto che l’artista riutilizzò i rotoli di pittura industriale del
pavimento della Caverna dell’antimateria,
scoperta recente avvenuta proprio in occasione dell’analisi e dello studio
accurato, effettuati sulle opere durante la
preparazione della mostra alla GAM di Torino.
L’attività creativa di Gallizio,
pittore ormai consacrato sulla scena artistica internazionale, continua con i
cicli de La Storia di Ipotenusa (1962) e Le Notti di Cristallo (1962) per
concludersi nel 1964 con L’Anticamera della Morte, un mobile –
ambiente in cui l’artista colloca alcuni oggetti che hanno accompagnato la sua
vita, dipingendoli di nero, e con la serie dei nel medesimo anno proprio quando Maurizio
Calvesi stava organizzando la sala personale di Gallizio alla XXXII Biennale Internazionale d’Arte di
Venezia che diventerà, quindi, complice l’inatteso destino, un omaggio postumo
all’artista di Alba e dell’Internazionale Situazionista.
Info “Pinot Gallizio. La Gibigianna”,
mostra a cura di Maria Teresa Roberto.
GAM- Galleria
Civica d’Arte Moderna e Contemporanea – via Magenta n.
31 – Torino – Tel. 011/ 4429518. Tutti i
giorni 10 – 18, chiuso il lunedì; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: 7,50 € intero; 6,00 € ridotto; gratuito il primo martedì del mese.
Voto
8