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L'inutilità dell'arte
Alla cinquantesima Biennale di Venezia
Domande

 




                     di Daniela Trincia


Alle perenni e sistematiche domande "Cos'è l'Arte?", "Chi siamo noi?", la Biennale di Venezia (15 giugno - 2 novembre 2003), per voce del suo direttore Francesco Bonami e attraverso le opere degli artisti internazionali invitati dai dieci curatori dell'Arsenale e dai curatori dei singoli Padiglioni Nazionali, cerca di dare delle risposte.

"E' il tentativo costante dell'artista di mettersi in sincronia col tempo in cui vive - risponde Bonami al primo interrogativo -, ma a volte il precipitarsi degli eventi lo pone leggermente in ritardo o addirittura in anticipo". Da qui il titolo " Ritardi e Rivoluzioni" della rassegna di artisti internazionali nel Padiglione Italia, curata dallo stesso Bonami con Daniel Birnbaum, che attesta il sintomatico stato dell'arte contemporanea.

Di fronte alla situazione internazionale caratterizzata da conflitti, terrorismo, lotte intestine, guerre separatiste, l'Arte avverte tutta la sua impotenza, la sua inutilità ma anziché con una piatta apatia reagisce esortando ad una riflessione più profonda. Praying to safety" (1997) di David Hammons, che accoglie il visitatore al suo ingresso nel Padiglione Italia dando un'apertura un po' zen e lo invita a tutto ciò.

Immediatamente insieme al secondo interrogativo se ne formula un altro: "Cosa cerchiamo nel mondo?". Inscindibili e connesse sono le due strade che si aprono come risposta: l'unità e la diversità. Non in contraddizione, come superficialmente potrebbero apparire ma come le due facce della stessa medaglia. L'unità porta ad una uguaglianza generale ma comporta il rischio dell'appiattimento. La diversità porta al mantenimento delle proprie peculiarità ma ha in sé il rischio di una loro gelosa difesa. Nel mezzo c'è il dialogo. E l'artista, in un mondo sempre più globale, cerca di affermare in qualche maniera la propria individualità. Debole testimone di fronte a quello che accade nel mondo, adotta dunque l'unico strumento a sua disposizione, l'Arte con la sua inutilità, ma che diviene utile di fronte all'inutilità di quello che accade.

Sono domande poste anche dal lavoro "Untitled (Questions)" (1981-2003) dei due artisti svizzeri Peter Fischli e David Weiss, premiati per la miglior opera della Biennale.

Domande che trovano una risposta fuori dei Giardini di Castello, nel Museo Correr, dove sempre Bonami ha curato la mostra "storica" Pittura/Painting. Da Rauschenberg a Murakami. 1964-2003", ove vengono esposti cinquanta opere, una per ciascun artista che è stato presente alla Biennale. Due estremi cronologici pregnanti se al centro della riflessione è la pittura, addirittura quella presente alla Biennale. Attestano come il quadro lentamente muta la sua fisionomia: da superficie diventa schermo.

Nel 1964 Robert Rauschenberg ottiene il Leone d'Oro con l'opera "Kite" (1963), una delle sue famose "combine paintings" che sovverte l'ordine delle cose. Fu allora un vero shock perché era il primo americano a vincere questo premio per la pittura, attestando il passaggio del testimone dalla Francia agli Stati Uniti come portavoce ufficiale delle tendenze dell'arte contemporanea. Le drastiche misure adottate ad esempio dal Patriarca di Venezia, che vietò a tutti i religiosi di andare a visitare la Biennale, testimoniano la portata dell'avvenimento.

Stesso ribaltamento è raggiunto, ai nostri giorni, dall'artista giapponese Takashi Murakami (in mostra l'opera "Superflat Jellyfish Eyes 2" - 2003), per il quale "la storia e il presente, la virtualità e la realtà, la fantasia e la moda", i manga e le allucinazioni, convivono sulla tela, elementi tutti che non appartengono al linguaggio occidentale che appare ormai fuori moda.

Pittura/Painting: non è una semplice traduzione, ma sottintende dell'altro. Pittura sembra un termine che indica qualcosa di passato, mentre Painting qualcosa che è in itere. Mosse una simile considerazione anche la mostra svizzera "Painting on the move" (Basilea, 2002) ma anziché offrire una risposta univoca, lasciava aperte molte strade interpretative. Allo stesso modo rimangono aperti i sogni, i dipinti posti sulle tele, in uno spazio circoscritto ma per sua natura senza confini.

Voto 7 

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