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  23/04/2024 - 21:11

 

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Scanner - interview
 


Stefania Rocca
l'attrice torinese si confronta con Scanner
E racconta la sua evoluzione, il suo percorso da Nirvana a Casomai

 

                      di Giovanni Ballerini



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Protagonista, insieme a Fabio Volo, di un film sull'amore dei nostri giorni, come Casomai, uscito a maggio 2002 e diretto da Alessandro D'Alatri ," Stefania Rocca si misura con nuove frontiere espressive, più vicine al quotidiano, ma non per questo meno impegnative. L'attrice torinese divenuta popolare grazie al ruolo di Naima, l'affascinante hacker dai capelli blu di Nirvana di Gabriele Salvatores, si conferma insomma ancora una volta una delle giovani attrici italiane più versatili e intense. Ed esplora le dinamiche delle coppia (al suo interno, ma anche all'esterno, nei confronti della società e degli amici), senza cadere mai nel tranello dei luoghi comuni, dell'auto celebrazione. Dando vita a un personaggio tanto credibile, quanto moderno: una donna che affronta i problemi, ne è vittima e protagonista. Senza rinunciare alla sua essenza, alla sua forza interiore.

Che differenza hai trovato nell'interpretare i personaggi di Nirvana e di Casomai?
Quando ho fatto Naima ho fatto proprio quello che volevo fare. Era esattamente un personaggio che rappresentava la nuova generazione, quando tutti dicevano che la nuova generazione era vuota, senza più valori. Naima rappresentava la mancanza di memoria (perché ci sono davvero dei vuoti generazionali: tante cose non ci sono state dette, o non sai se credere a quelle che ti dicono). Naima rappresenta l'anima e la sua voglia di ricerca ce l'ha. E' stato un personaggio che mi ha dato moltissimo. C'è una sua frase che mi accomuna a lei e continua a tornare nella mia vita: "Ogni cosa che fai falla al meglio che puoi". Questa è anche la mia teoria.
E in Casomai?
E' un personaggio comune. Con dei passaggi che vivono un po' tutte le donne: da figlia a moglie, a mamma. Mi sono divertita tantissimo, perché, mentre con un personaggio forte e fragile come Naima avevo bisogni di trovare in me tutto quello che era trasgressivo, questa volta ho dovuto sondare un'altra parte di me. Ho dovuto lavorare in maniera diversa. Per Naima, mi ricordo, ho lavorato sugli animali, questa volta invece ho studiato le persone. Ho rubato informazioni da amici e amiche, mi sono guardata intorno ho osservato le persone che parlavano. Non solo donne, perché ho sempre visto questo film come il rapporto fra la coppia e gli altri. Ed era importante non fare solo un'analisi al femminile, ma anche osservare tutto quello che ti arriva addosso dagli altri, come viverlo, come no, come se lo vivono gli altri, come te lo vivi te.
Un'evoluzione che ti è comunque congeniale?
Prima ero sempre attenta ad entrare in personaggi che rappresentavano qualcosa, ma non un entità vera e propria. Questo invece rappresenta tutte le donne comuni. E avevo la possibilità di vedermele tutte lì davanti. Con la possibilità di lavorare sui toni, sui momenti di quotidianità che, nella vita, quando ne parli, sono assolutamente noiosi e creano problemi. E invece avevo la possibilità di affrontarli con leggerezza: esiste la quotidianità, ma poi quello che conta è come la vivi.

Ho lavorato sulla voce, sull'intonazione, sui ritmi, che poi sono comunque diversi da tutti i personaggi che ho interpretato sinora.
Che tipo di personaggi senti più sulle tue corde?
Ho sempre cercato di fare dei film con dei personaggi che andassero controcorrente. E anche questo film penso che vada controcorrente. Mentre sei anni fa la trasgressione era l'azione folle che uno poteva fare o la ribellione che avevo. In questo momento la mia trasgressione è la ricerca di normalità.
Che rapporto c'è fra attore, regista e sceneggiatore?
Avere una sceneggiatura scritta bene è molto importante. Primo perché ti dà la possibilità, quando la leggi, di afferrare qualcosa del personaggio. L'altra parte la fai tu. La sceneggiatura sono parole, il regista ti può dare delle indicazioni, ma poi comunque c'è da fare.
Come hai lavorato sul personaggio di Casomai?
In questo caso la sceneggiatura era perfetta, la difficoltà era riuscire a creare nel personaggio i cambiamenti di cinque anni nelle dodici settimane del set. Tutte esperienze che io non ho ancora vissuto. E quindi più che metterci del mio, ho rubato all'esterno come cambia una donna dalla gravidanza ad essere davvero mamma. La difficoltà più grande di questo fil era dare al personaggio un'evoluzione.
Continui a fare ancora teatro?
Sì è la mia scuola. E' un momento fantastico in cui hai uno scambio, un dare e avere con il pubblico. Il cinema viene dopo. Per la prossima stagione devo ancora decidere, ma credo farò teatro. Anche se non so ancora cosa. Il cinema è un lavoro più interno, più intimo, il rapporto che vivi con un personaggio è e rimane tuo. Il teatro è immediato: il pubblico è lì. Il rapporto con il teatro è più fisico, meno intimo. Tutti i tuoi sentimenti devono arrivare al pubblico con il corpo e con la voce. Tutto verso l'esterno. Mentre il cinema è più verso l'interno.
Che altro fai oltre recitare: scrivi, dipingi?
Sì, ma nei momenti intimi. L'amore più grande è per il cinema. Scrivere a disegnare lo faccio per me, mentre il cinema è la mia passione, il mio modo di comunicare. Ha una forza incredibile il cinema: mi piace cercare di fare dei film che abbiano qualcosa a che fare con la forza. Essere controcorrente, riuscire a seguire il tempo, ma arrivare anche prima. E' il modo migliore di esprimermi.
Che ne pensi di Internet e della tecnologia?
Internet è ancora una novità da esplorare. Mi piace, mi interessa ed è un percorso che ho imboccato da tempo. E continuo ad esserne incuriosita. Mi piace anche molto la musica elettronica, il drum'n'bass. Sono una fanatica di musica, mi aiuta e mi stimola molto. Soprattutto quella ricca di ritmo.

Voto 8 

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