E’
una ragazza che sembra trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto e con
il look giusto, la nostra Pink
da Philadelphia, che dagli esordi hip hop da teenager non ha mai
smesso di cantare. Esemplare in tal senso la sua partecipazione al videoclip della
cover di Lady Marmalade insieme alle colleghe Christina Aguilera,
Lil’ Kim e Mya, canzone entrata in top ten e nella soundtrack di Moulin Rouge di Baz Luhrmann, che ha avuto un
successo su scala planetaria. Chi non si fosse accorto dell’esistenza di Pink
fino a Missundaztood, l’avrà indubbiamente scoperta con la
contagiosa Get the party started, supportata da un video galeotto ed
irresistibile in cui Pink lascia andare il suo personaggio a briglia sciolta
alternandosi tra mises sexy, atteggiamenti da ‘ragazzaccia’ e facce da
fumetto. Tutta apparenza dunque? Assolutamente no, perché in effetti bisogna
riconoscere che tra le quattordici tracce del secondo album di Pink cose buone ce ne sono, oltre ad
un singolo indovinato di cui forse tra qualche tempo perderemo memoria.
Cominciamo a scendere nel dettaglio della tracklist di Missundaztood
rilevando l’estrema varietà del disco, al cui interno si trova un po’ di tutto
quanto può avere probabilità di successo sul fronte radiofonico: ballate malinconiche
ma non troppo, (pochissimi) brani introspettivi, canzoni ballabili a base di sex’n’fun,
tre collaborazioni eccellenti (nell’ordine Scratch, Steven Tyler degli Aerosmith e Linda Perry dei
disciolti Four No Blondes). Indiscutibilmente si tratta di una produzione di
impeccabile qualità commerciale, forse anche troppo, tanto che alla fine lascia
un retrogusto da prodotto preconfezionato. Missundaztood si
apre con l’intrigante titletrack, molto scorrevole, seguita da due
ballate meno godibili (Don’t let me get me e Just like a pill):
l’album riprende ritmo con la scatenata Get the party started, marcata
da un refrain orecchiabilissimo, e con la movimentata fusion tra hip
hop e soul di Respect (featuring Scratch). Pink mostra di trovarsi a suo agio anche
con il registro pop rock (in 18 Wheeler) e con Family Portrait,
che pare uscita di sana pianta dal repertorio dei Fugees. Il duetto con
Steven Tyler in Misery è in pratica l’unica vera gemma del disco, al cui
interno risulta una mina vagante comunque fondamentale per esemplificare le
doti canore di Pink alle prese con una ballata rhythm’n’blues. Da qui in
poi Missundaztood è meno in linea con l’immagine globalmente
diffusa della giovane
cantante americana: c’è spazio per l’introspezione con Dear diary e My
Vietnam, un pugno di ballate a pronta presa (Eventually, Lonely
girl, con Linda Perry, e la sinuosa Gone to California) ed il rock
ombroso di Numb. Guardando agli artisti più seguiti dai
giovanissimi, onestamente in giro si trova molto di peggio. Ma anche proposte
più originali.
Pink, Missundaztood [2001 Arista]
Voto
6½
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