E’ stato difficile, ma ce l’abbiamo fatta, chiosa un famoso spot. The Boss va
oltre. Se c’era bisogno di una scossa per risvegliare il rock (da molti considerato morente o comunque molto assopito) Bruce Springsteen and the E - street band ne hanno regalata una formidabile ai loro fan il
10 giugno 2012 allo stadio Artemio Franchi. 45.000 rocker, che dal 2003 aspettavano il ritorno del Boss a
Firenze, si sono esaltati nel segno del sound americano. E, incuranti della
pioggia, scosciante per gran parte del concerto – evento, hanno vissuto per quasi 4 ore una serata indimenticabile insieme a Bruce Frederick Joseph Springsteen &
Co. Il cantautore nato a Freehold il 23 settembre 1949 ha dimostrato ancora
una volta di essere un tutt’uno con il suo pubblico e ha vissuto il temporale
in prima persona (proprio come quelli sugli spalti scoperti o sul prato dello
stadio comunale), abbracciando senza sosta i suoi estimatori delle prime file,
blandendo la sua vocalità, la sua verve e le sue chitarre contro le intemperie. Le gocce di pioggia (tante) non
hanno insomma fermato l’emozione, l’hanno invece amplificata, facendo crescere
nell’immaginario di ognuno la consapevolezza rock, facendo rinascere sopra e sotto il palco quell’atteggiamento eroico e fiero,
che sembrava ormai un ricordo smarrito nei festival degli anni Settanta. E che invece per una sera (ma anche dopo, nei cuori di chi c’era) torna a brillare di passione transgenerazionale.
Grande palco, amplificatori e luci
appese a stigmatizzare la fine del giorno e l’inizio della festa. Le note di C’era una volta
in America di Ennio Morricone per accompagnare l’ingresso sulla
ribalta di una E - Street Band composta in questo Wrecking Ball Tour da 17 musicisti guidati dalla vena inarrestabile di Little Steven (Steve Van Zandt) alle chitarre e alla voce. In prima fila Nils Lofgren alla chitarra, Garry Talent e Max Weinberg alla sezione ritmica, il tastierista Roy Bittan, gli scatenati ottoni della E Street Horns e al sax Jake Clemons, nipote dello scomparso Clarence, che verrà ricordato con emozione (anche con una galleria di immagini) durante il concerto. Bruce canta con i
bimbi e con i grandi, balla con una ragazzina, fa raccolta di scritte e
striscioni e si esalta in duetti con le sue vocalist,
con i suoi musicisti. In scaletta una trentina di canzoni. Nuovi brani e cavalli di battaglia (da
The river a Born in the U.S.A.,
da Born to Run a Hungry Heart, a Dancing in the Dark) per far sobbalzare i cuori. In avvio Springsteen ci regala Badlands, poi No Surrender e la recente
We Take Care of Our Own, che The Boss dedica in italiano alle vittime della
crisi, Wrecking Ball, Death to My Hometown, My City of Ruins, Spirit in the Night, Be True, Jack of All Trades e Trapped di Jimmy Cliff.Ci saranno altre cover a mischiarsi e arricchire di nuove suggestioni il sound di Bruce, come
una sferzante Burning Love (di
Elvis Presley) e sul finale le sorprendenti Seven Nights to Rock (di Moon Mullican), Twist and Shout (degli Isley Brothers) e una mitica Who’ll
Stop the Rain? (dei Creedence
Clearwater Revival) che, oltre a essere la sigla finale dello show, ne è un
po’ l’emblema, la riprova della simbiosi di Bruce con i suoi fan. L’irridente
filosofia del rock torna a brillare grazie a uno Springsteen bagnato fradicio e felice, come gli spettatori di questo indimenticabile spettacolo che, oltre a pulsare
dell’intensità del rock, del blues metropolitano e del folk, si è esaltato in momenti gospel, echi irlandesi, groove rhythm and
blues.
Voto
9
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