Di
artisti di culto con la coerenza musicale di questo irlandese di sessantatre primavere sulla scena internazionale forse si
possono contare giusto Bob Dylan e Tom Waits. Nella sua lunghissima carriera,
prima con i Them, poi da solista, il grande Van Morrison, classe 1945 ha inciso un numero
incredibile di dischi, curiosamente tutti di qualità sopraffina. Di solito il
cantautore irlandese predilige album a tema, magari veri e propri concepì, oppure si limita, come in
questo caso, a fare semplicemente quello che gli viene meglio, pubblicare un
disco nel suo stile, quel celtic blues che
assortisce rhythm’n’blues, jazz, rock ed ovviamente dosi corpose di
folk irlandese: non a caso non poteva scegliere un titolo
migliore di Keep It Simple.
L’ultima fatica del mitico bluesman
di Belfast è un tuffo nella sua musica, tout
court, con undici magnifiche canzoni di grande atmosfera che Van Morrison avrebbe
potuto incidere anche trent’anni fa (e nessuno ci assicura che non le abbia
composte allora). Che altro potremmo aspettarci di trovare in un caratteristico
esempio della discografia morrisoniana come questo?
Ovviamente una ballata struggente come l’intensa Lover
come back (quante ne ha scritte, e sempre splendide…), oppure un blues a marce basse (ma
irresistibili) come How can a poor boy
e soprattutto Don't go to nightclubs anymore,
un blues senza tempo. A partire dall’essenziale title track, posta nel bel mezzo del disco,
Van Morrison pare
avviare una sorta di climax emozionale, con episodi come la folkeggiante
Song of home,
l’insostenibile Soul e l’ultima
perla della serie, almeno per questa volta, ovvero Behind the ritual, una canzone che giustifica
da sola tutto il resto del disco. L’ennesimo album
del grande Van, essenziale a cominciare dalla copertina ma dotato di una tracklist che non delude neppure in una sola
traccia. Vivamente consigliato, soprattutto ai neofiti di
questo mitico e scorbutico vecchio cantautore d’Irlanda…
Van Morrison, Keep It Simple, [Polydor 2008]
Voto
8