La giovinezza è un panda in via
d’estinzione, che si sfarina, si disfa come in un
videogioco, assumendo le fattezze di un teschio tutt’altro che amletico. Sulla
strada dei Motus,
nelle periferie europee visitate, tutto è irrimediabilmente in bianco e nero e
la massima adrenalina del sentirsi vivi è quella di attraversare la strada
quando le macchine clacsonanti si avvicinano spedite. Si sta sulla panchina come
le foglie d’autunno con basi hip hop e sacchetti di
plastica, ritmi a scandire il tempo che non ha importanza, di sms zeppi di
contrazioni, dal linguaggio sincopato, costretto, accartocciato. Come quelle
vite che aspettano cercando il movimento in pattini in linea per andare in
nessun luogo.
Hanno cappelli e cappucci,
maschere e caschi, non vogliono farsi riconoscere, ma massificarsi,
nascondersi, sparire nella consapevolezza di essere gramigna nel giardino della
società civile, quella che produce e consuma, che è impegnata, che diventa
alibi e limite. Tutt’attorno la violenza dei grandi
spazi (potremmo essere alle Vele di Scampia o allo Zen di Palermo o all’Isolotto o a Scandicci stesso) e domande che
frullano come pale eoliche: “A che cosa serve la libertà di parola se non
abbiamo niente da dire?”, “Morire di fame o morire di noia?”. La stessa noia
che prova un animale in gabbia allo zoo che, alla sua morte, verrà
sostituito.
La repressione è autoguidata e
autoindotta dal grande magazzino di polistirolo, dal centro commerciale che
luccica, sempre più sbiadito, dallo shopping che lascia vuoti, dal carrello
della spesa di ferro arrugginito, per una rabbia distruttiva e implosiva che
non ammette perdenti. Voto: 7, esclusa la parte finale che miscela prima Gaza e
poi scontri fiorentini tra studenti e polizia negli anni ‘70.
Voto
7