Una favola noir allegorica che si
dipana al gusto di un Luna Park ravennate, dalle risa sguaiate,
ma sincere, dei giostrai, di una vita nomade, e ingenua e povera, con il
mare come sfondo a muoversi e ondeggiare mentre sulla terra ferma tutto scorre
immobile. Una fiaba metaforica, troppo spesso reale, da Barbablù quella
della “Liberata”
(Micaela Casalboni deliziosa e in stato di grazia) che
prima riceve il miracolo di lasciare la condizione della zittellaggine,
dal caro Gesù tanto pregato, poi viene liberata e salvata,
seguendo alla lettera la leggenda cristiana della martire dalla quale aveva
preso il nome, dalla causa dei suoi mali, quello stesso uomo portatore di una
felicità momentanea e breve e illusoria. “L’uomo dei sogni” (Andrea Gadda è
abilmente sentimentale e sprezzante), un rubacuori di provincia che vende
cianfrusaglie e carabattole, playboy da tango e balera
e valzer che non vale niente, che vende miseria perché miserabile, che accusa
per insoddisfazione esistenziale, forte con i deboli, con le proprie donne
devote. Una storia al femminile, un “Albero di Antonia” vessato e percosso,
umiliato e schiacciato da un padre-padrone legittimato nel suo operato proprio da coloro che subiscono il suo
atteggiamento: la seconda moglie e le due figlie di primo letto. Il testo, dal
dialetto romagnolo ma universale nello svolgimento ed
affatto locale, di Nicola Bonazzi è una dolce carezza
alla quale segue sempre uno schiaffo gelido, è caldo e freddo, è tranquillità
familiare con l’aggiunta di violenza inacidita e rancorosa, è sembianze
d’abbracci ed affetto prima dell’avventarsi al collo come lupo mannaro. Si ride
ed un attimo dopo ci si vergogna e pente d’aver riso. Una
drammaturgia che non fa stare sereno lo spettatore: lo pungola, lo scuote,
sembra che lo accolga e lo coccoli prima della sferzata nelle costole ponendogli
davanti l’illogicità e l’irrazionalità di bisogni e
dinamiche sadomasochiste. Tre donne che, in maniera diversa, lo guardano dal
basso verso l’alto (Bambola
di Patty Pravo), lo idolatrano come totem divino, lo amano ricevendone in
cambio solo lacrime e punizioni, fisiche e psicologiche, in un continuo
cortocircuito, in un costante collasso delle regole della convivenza, in un
turbine di sensi di colpa e ingiustizie e silenzi e sorrisi omertosi racchiusi
nelle quattro pareti domestiche dove questi tre corpi puniti e spolpati di vita
vengono rinchiusi, legati, imbavagliati, violentati,
vilipesi, senza più dignità né un briciolo d’affetto. La grata sul fondale, di
assi e catene dove sono appesi disegni illusori da bambini, è limite, è
orizzonte, come un pentagramma senza più note allegre
e felici da suonare, è corde di ring e recinto per le bestie, sono grate ma
anche finestre per guardare e desiderare e ambire ad un altro mondo. Un altrove
che le tre donne non riescono nemmeno a concepire abituate a quella piccola o
grande dose quotidiana di normale violenza subita, di veleno snocciolato a
gocce cinesi che corrodono, che può andare dalla critica feroce
all’abbigliamento o alla cura della casa o alla cucina della nuova moglie,
all’incesto della figlia maggiore, chiamata con un nome da maschio che il
capofamiglia voleva un uomo, alle umiliazioni pubbliche e private, ai
tradimenti alla luce del sole, alla costrizione alla prostituzione (Casta Diva della Callas).
Ma è una violenza quasi condivisa, accettata come unica alternativa
di vita, una cantilena senza lieto fine, una filastrocca di ordini e promesse
mai mantenute, di suddite pronte a tutto per esaudire i desideri del maschio
dominante del branco, di regole da non disattendere, di schiave e serve
inginocchiate e condannate alla più completa devozione, una venerazione tra
timori di rappresaglie improvvise e non calcolate e paure di una cinghia
portata in aria come domatore di fiere circensi, frustate e frustrate, emarginate
e zittite. Tutto ruota attorno al possesso che esprime l’uomo, gallo impunito
nel pollaio (il bravo,
bravissimo del Barbiere di Siviglia) che tiene al guinzaglio le “sue”
femmine. Una caduta all’Inferno, che la realtà supera sempre la fantasia.
Voto
8
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