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Teatro Minimo
Le scarpe
Di Michele Santeramo, regia Michele Sinisi, con Vittorio Continelli, Michele Sinisi, Alice Bachi, Paola Fresa, Sergio Raimondi, scene, luci e costumi Michelangelo Campanale, produzione Teatro Minimo, Fondazione Pontedera Teatro, in coproduzione con: Festival Castel dei Mondi, Teatri Abitati, città di Andria
Visto al Teatro Era, il 9 novembre 2010

 




                     di Tommaso Chimenti


"Chi non ha scarpe non ha ragione mai, chi non ha scarpe non ha padroni rispondo io, chi non ha scarpe non ha scarpe allora, chi non ha scarpe non ha scarpe" (Ivano Fossati, "L’amore con l’amore si paga").

Il ricco può permettersi “Le scarpe” sporche e rotte, il povero le deve avere lucide e linde, come se fosse sempre il giorno della festa. Il ricco sa che è ricco e lo sanno anche gli altri accanto a lui, non ha bisogno del vestito stirato e della suola pulita. Il povero invece vuole anche, e soprattutto, la confezione da esibire, il nastro colorato, come se fossero nuove anche le scarpe vecchie. Un dramma quotidiano, normalmente italiano, accettato, condiviso, una famiglia del Sud che si fa missionaria, credendo di salvarsi, della riparazione delle tomaie altrui. Come per riparare i cammini, i percorsi, le strade rattoppate, le vie con troppe fermate e buche. Il pathosaumenta perché siamo nelle settimane di dicembre che precedono il Natale. Una famiglia allargata dove tutti custodiscono qualche segreto in complicità con qualcun altro, dove tutti sanno tutto, ma non lo dicono, dove gli altarini sono stati scoperti e scoperchiati ma si continua, per quieto vivere e per sopravvivenza, a far finta di niente senza affrontare il problema, senza guardare negli occhi la sua gravità. A poco, a poco si entra a piedi uniti in un noir dal sapore pinteriano. Una famiglia che può essere quella di Kitsch Hamlet di Scena Verticale, una delle tante di Franco Scaldati o Enzo Moscato, Emma Dante o Alfonso Santagata, passando da Enia a Scimone e Sframeli, fino a disturbare De Filippo. Scappano citazioni dal Cyrano e da Cenerentola, anche se la fiaba non ha happy end, anche se la favola non è serena. Omertà, indifferenza, clientelismo sul piatto della bilancia sociale. Un handicappato infermo in carrozzina (un Michele Sinisi in forma splendida), “ma al 25% perché non conoscevo il medico”, un fratello disoccupato (l’attore è sosia del pianista Bollani), la partner che si prostituisce, alle spalle del compagno, per portare i soldi a casa (alla mente fa capolino la D’Addario di memoria berlusconiana, pugliese come il Teatro Minimo), un “cliente”, l’“amico di famiglia” aguzzino, che la vuole “salvare” violentandola e minacciando di dire tutto al suo uomo, una ragazza che si è innamorata epistolarmente dell’invalido. Un basso buio, senza allegria (anche se il tragicomico sparpaglia una scia di sorrisi più o meno eclatanti), senza finestre e centinaia di scatole vuote dove incartare le calzature rimesse a nuovo, ridonate a nuova vita. Un pappagallo, lasciato in eredità dalla madre defunta, che stressato perde le piume che deve essere curato con le vitamine ma al quale vengono date soltanto mentine e caramelle e che è la voce della coscienza, il grillo parlante super partes (sta in alto nella sua gabbietta) di tutta la sciagurata combriccola assortita. Quando tutto sembra mettersi per il meglio, quando i pezzi dei vari disastri personali si stanno incastrando, il degrado di quest’Armata Brancaleone vince su tutto, la miseria, la disperazione ammantano le pareti del monolocale in una morsa dalla quale è impossibile staccarsene, come una seconda pelle. I due fratelli sono legati dal sangue ma anche dal senso di colpa: sembrano Nuti ed Haber in “Willy Signori e vengo da lontano”: “Se tu risolvi il mio problema, io risolvo il tuo problema”. Si accusano, si scannano, si vogliono bene ognuno nella propria solitudine. Indelebilmente, invariabilmente. Dimmi che scarpe hai e ti dirò chi sei.

Voto 7 

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