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Fura dels Baus
Sì alla paura, ma ovattata
Imperium
7 e 8 luglio 2008 al Mandela Forum di Firenze

 




                     di Tommaso Chimenti


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"Ci mancavano gli idioti dell’orrore", avrebbe commentato Franco Battiato. Che, infatti, non era presente. Una folla da stadio, da concerto rock, da evento. Magliette strappate con miti vari sovraimpressi, anfibi, facce da duri, tatuaggi in mostra per la Fura dels Baus . Non è la guerra. E’ la battaglia. Pantaloncini corti, gomiti alti. Mors tua, vita mea. A volte la gente si prende troppo sul serio. Paga e quindi vuole il sangue, come nell’arena, ma non vuole farsi male, sennò mette in moto l’avvocato. Contraddizioni del nostro tempo. Viaggi organizzati in paesi esotici. Last minute per vedere la violenza. Ma non basta la televisione? Non bastano le risse in politica, allo stadio, al bar, nel traffico. Non basterebbe guardare il pugilato in tv, no le persone mimano più volentieri “Fight club”. “Vi meritate Alberto Sordi”, un tempo, adesso ci meritiamo qualcun altro che sta più in alto. Il pubblico vuole la morte, ma che sia una morte simbolica. Si alla paura, ma ovattata. Ed allora torri in plexiglass e amazzoni pronte ad urlare, dipingersi di argento, sventolare i seni, che fa sempre audience, aggredire i potenti di turno, mentre la folla inferocita e vociante, neanche fossimo durante la Rivoluzione Francese, urla e gioisce. Non sappiamo bene per cosa. Ma gli eventi in Imperium si susseguono impotenti e noiosamente stanchi. Non arriva mai lo scarto, lo scatto, il brivido. Dal palco vomitano (basterebbe uscire il venerdì sera a Firenze davanti ai pub frequentati dalle americane), qualcuno tira secchi d’acqua in un Ferragosto anticipato. Il pensiero invece è stato parcheggiato fuori tra birre e hamburger, tra porchetta e coca cola. Lo scontato prende il sopravvento. Chi ha pagato (30 euro!) vuole vedere il linciaggio, quello che non si può permettere con il capo ufficio, con la moglie, con il padre. E giù mazzate con randelli morbidi, pseudo stupri, lotte finte. Tutto ha il sapore di naftalina. Si salva la musica post industriale che incute rispetto. E’ tutto un correre, uno spostarsi, uno straniamento che, almeno all’inizio, ha il suo perché e le sue cose da dire. Poi tutto diventa già visto, già detto. Il ruolo, il potere, la conclusione assolutamente favolistica. Intanto tutti sudati raggiungiamo l’uscita. Facce tranquille. Gli scalmanati sono rientrati nei loro ruoli di sempre: studenti, operai, impiegati. Mariti infedeli. Tutto nella norma. Anche che riescano ancora a fare il pieno al botteghino spettacoli come questi. Non stupisce però che non colpiscano più nessuno. Dagli all’untore, così mi sento migliore. Ma l’esorcismo non funziona, il salvifico altare purificatore non riesce. Non ci sentiamo più buoni all’uscita dal Mandela. E forse proprio il novantenne Nelson ne avrebbe da raccontare di cose più raccapriccianti sul potere e sull’abuso di potere, arrivando fino in fondo al nocciolo, facendoci sentire piccoli e bianchi e inutili, senza bisogno di dare alcuna martellata, senza alzare un dito. Potenza della parola. Potenza della verità. Questo invece era manieristico e di costume. Senza didattica alle spalle. Senza fremiti.

Voto 5 

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