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Emergenze
Giovani Compagnie Lucchesi
Ultra Off con MiniEra e ColombreTeatro, Mangiami, liberamente tratto da Cappuccetto Rosso
Venerdì 26 novembre 2010 sul palco di Spam

 




                     di Tommaso Chimenti


Una piacevole sorpresa queste “Emergenze”, la rassegna ideata da Roberto Castello, per portare fuori dal sommerso le giovani compagnie lucchesi meritevoli di uno sguardo più approfondito in un territorio schiacciato dall’amatorialità e dal vernacolo. A Spam , lo spazio dove gli Aldes (in quest’ultimo mese in prova ed in scena a “Vieni via con me” di Fazio e Saviano) sono riusciti a portare in stagione Teatro Sotterraneo, Balletto Civile e Virgilio Sieni, solo per citare alcuni nomi, non ci si arriva per caso. E’ tra Altopascio e Pescia, Lammari per la precisione. Vicino a tutto, lontano da tutto, in mezzo a campi coltivati. Come sedie delle panche colorate, supportate da cassette di frutta in plastica, con disegnati sopra supereroi. Atmosfera spartana ma viva, semplice, di chi fa un mestiere con l’artigianato che merita, con serietà, ma senza prendersi troppo sul serio, conviviale, colloquiale. Due le piece inaspettate e, positivamente, impreviste. Segnatevi i nomi. Ecco un Cappuccetto Rosso tutto al femminile, nella realizzazione (sulla scena le Colombre, Stefania Luisi e Alessandra Podestà, molto attive sul versante del teatro ragazzi) e nella drammaturgia. Un CR noir, morboso, patologico e sensuale, infatti il titolo evocativo è Mangiami, dove niente è ciò che sembra e la tenerezza in un attimo si può trasformare in assedio, in assalto, dove la debolezza è scacciata via come soldatini con un palmo di mano. Tutto si svolge su di un grande letto, primo riferimento ad una coppia che non c’è, prima citazione sessuale da talamo da procreazione. Tutto è bianco, spermatico e lattiginoso, ma ben presto, con un colpo di magia, tutto prenderà tinte fosche e rossissime. Dall’età infantile, entrando nel bosco, si diventa adulte, il candore, l’innocenza, lasciano il posto alla scoperta, all’indagarsi, ai sensi, al sangue, al sesso, alla passione irrefrenabile, agli istinti, alle mestruazioni come tappa obbligata per, da bambina, poter generare. Più che un lupo, qui c’è una Lupa, citazione verghiana, che mentre la figlioletta dorme beata ne prende le sembianze, si camuffa da adolescente e si accinge nel cuore del bosco per incontrare l’animale feroce, l’orco, l’uomo nero, battendolo, vincendolo, forse uccidendolo, sicuramente dopo un corpo a corpo che sa di penetrazione. Come la mantide religiosa che una volta fattasi fecondare mangia il compagno occasionale. E quando starà a Cappuccetto prepararsi per andare dalla nonna, agghindandosi con un abito che diviene da sposa o si fa palla per dare l’impressione di un feto che nicchia sotto o è così stretto da essere scambiato per una cintura di castità, il profondo rosso inquietante prende il sopravvento, dove svetta anche un albero che si issa come un fallo in piena erezione. CR sfida il bosco trovandosi di fronte un lupo che però nasconde dettagli e particolari della madre. E’ lei che tira le fila della commedia, tutti sono in suo pugno. Anche il lupo si è dovuto inchinare, forse inchiodato, forse a sua volta mangiato.

Di tutt’altro tipo il lavoro MiniEra degli Ultraoff che già nel titolo giocano con le parole conducendo su un terreno per poi cambiare rotta, direzione, spiazzare. L’apparenza inganna. La miniera è metaforica, è la nostra condizione di cittadini- sudditi della scatola catodica, la miniera è reale, come una prigione, i quattro stanno chiusi in una cabina, ripresi dall’alto come in un Grande Fratello continuo con le immagini proiettate sulla parte esterna dello spogliatoio. Sono usciti dal pubblico, si sono spogliati fino a rimanere in intimo e poi si sono diretti dentro: una scelta da martiri consapevole da parte di chi pensa di non avere altre opportunità. Sono stretti ma si muovono e dopo un po’ ci hanno anche fatto l’abitudine. Non si fa ciò che si vuole ma quello che ci è possibile fare. La suggestione ricorda i minatori cileni, che ce l’hanno fatta, Marcinelle e recentemente Cina e Nuova Zelanda, dove non ci sono stati sopravvissuti. Ma anche Alfredino. La cava è un buco, ma diventa anche riparo caldo, rifugio sicuro, grotta, caverna animalesca: le nostre piccole case da chiudere la porta con mille serrature a doppia mandata e lasciare fuori le paure, accendendo la rassicurante televisione. In audio passa il sociologo Chomsky ed il suo catalogo, di una religione non più in voga: l’essere critici ed avere una visione autonoma delle cose, di ciò che avviene nella società civile. Il buco che lo siamo costruiti, ce lo siamo scavati con le nostre mani ed evidentemente ci piace, ci stiamo scomodamente comodi. Uno spettacolo altamente politico che sul finale ci pone anche la questione del reale in contrapposizione con il visibile sullo schermo: quello che vediamo è vero? Sta accadendo adesso? Anche la realtà è diventata una fiction con attori al posto delle persone? Siamo cittadini o sudditi, o peggio consumatori? Forse siamo soltanto schiavi, talmente pigri da spezzare le catene.

Voto 8 

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