Una piacevole sorpresa queste “Emergenze”,
la rassegna ideata da Roberto Castello,
per portare fuori dal sommerso le giovani
compagnie lucchesi meritevoli di uno sguardo più approfondito in un territorio
schiacciato dall’amatorialità e dal vernacolo. A Spam , lo spazio dove gli Aldes (in quest’ultimo mese in prova ed in scena a “Vieni via con me” di Fazio e
Saviano) sono riusciti a portare in stagione Teatro Sotterraneo,
Balletto Civile e Virgilio Sieni, solo per citare alcuni nomi, non ci si arriva per caso. E’ tra Altopascio e Pescia, Lammari per la precisione. Vicino a tutto, lontano da tutto, in mezzo a campi coltivati. Come sedie delle panche colorate, supportate da cassette di frutta in plastica, con disegnati sopra supereroi. Atmosfera spartana ma viva, semplice, di chi fa un mestiere con l’artigianato che merita,
con serietà, ma senza prendersi troppo sul serio, conviviale, colloquiale. Due
le piece inaspettate e, positivamente, impreviste. Segnatevi i nomi. Ecco un
Cappuccetto Rosso tutto al femminile, nella realizzazione (sulla scena le Colombre, Stefania Luisi e Alessandra Podestà, molto attive sul versante del teatro
ragazzi) e nella drammaturgia. Un CR noir, morboso, patologico e sensuale,
infatti il titolo evocativo è Mangiami, dove
niente è ciò che sembra e la tenerezza in un attimo si può trasformare in
assedio, in assalto, dove la debolezza è scacciata via come soldatini con un
palmo di mano. Tutto si svolge su di un grande letto, primo riferimento ad una
coppia che non c’è, prima citazione sessuale da talamo da procreazione. Tutto è
bianco, spermatico e lattiginoso, ma ben presto, con un colpo di magia, tutto
prenderà tinte fosche e rossissime. Dall’età infantile, entrando nel bosco, si
diventa adulte, il candore, l’innocenza, lasciano il posto alla scoperta,
all’indagarsi, ai sensi, al sangue, al sesso, alla passione irrefrenabile, agli
istinti, alle mestruazioni come tappa obbligata per, da bambina, poter generare. Più che un lupo, qui c’è una Lupa, citazione verghiana, che mentre la figlioletta dorme beata ne prende le sembianze, si camuffa da
adolescente e si accinge nel cuore del bosco per incontrare l’animale feroce,
l’orco, l’uomo nero, battendolo, vincendolo, forse uccidendolo, sicuramente
dopo un corpo a corpo che sa di penetrazione. Come la mantide religiosa che una
volta fattasi fecondare mangia il compagno occasionale. E quando starà a
Cappuccetto prepararsi per andare dalla nonna, agghindandosi con un abito che
diviene da sposa o si fa palla per dare l’impressione di un feto che nicchia
sotto o è così stretto da essere scambiato per una cintura di castità, il
profondo rosso inquietante prende il sopravvento, dove svetta anche un albero
che si issa come un fallo in piena erezione. CR sfida il bosco trovandosi di fronte un lupo che però nasconde dettagli e particolari della madre. E’ lei che tira le fila della commedia, tutti sono in suo pugno. Anche il lupo si è dovuto inchinare, forse inchiodato, forse a sua volta mangiato.
Di tutt’altro tipo il lavoro MiniEra degli Ultraoff che già nel titolo giocano con le parole conducendo su un terreno per poi cambiare
rotta, direzione, spiazzare. L’apparenza inganna. La miniera è metaforica, è la
nostra condizione di cittadini- sudditi della scatola catodica, la miniera è reale,
come una prigione, i quattro stanno chiusi in una cabina, ripresi dall’alto
come in un Grande Fratello continuo con le immagini proiettate sulla parte
esterna dello spogliatoio. Sono usciti dal pubblico, si sono spogliati fino a
rimanere in intimo e poi si sono diretti dentro: una scelta da martiri consapevole da parte di chi pensa di non avere altre opportunità. Sono stretti ma si muovono e dopo un po’ ci hanno anche fatto l’abitudine. Non si fa ciò che
si vuole ma quello che ci è possibile fare. La suggestione ricorda i minatori
cileni, che ce l’hanno fatta, Marcinelle e
recentemente Cina e Nuova Zelanda, dove non ci sono stati sopravvissuti. Ma anche Alfredino. La cava è un buco, ma diventa anche riparo caldo, rifugio sicuro, grotta, caverna animalesca: le nostre piccole case da chiudere la porta
con mille serrature a doppia mandata e lasciare fuori le paure, accendendo la
rassicurante televisione. In audio passa il sociologo Chomsky
ed il suo catalogo, di una religione non più in voga: l’essere critici ed avere
una visione autonoma delle cose, di ciò che avviene nella società civile. Il
buco che lo siamo costruiti, ce lo siamo scavati con le nostre mani ed
evidentemente ci piace, ci stiamo scomodamente comodi. Uno spettacolo altamente
politico che sul finale ci pone anche la questione del reale in contrapposizione con il visibile sullo schermo: quello che vediamo è vero? Sta accadendo adesso? Anche la realtà è diventata una fiction con attori al posto delle persone? Siamo cittadini o sudditi, o peggio consumatori? Forse siamo soltanto schiavi, talmente pigri da spezzare le catene.
Voto
8
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