La concessione del telefono
Dal romanzo di Andrea Camilleri
Di Andrea Camilleri e Giuseppe Di pasquale, con Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Alessandra Costanzo, Pietro Montandon, Angelo Tosto, Giovanni Carta, Franz Cantalupo, Valeria Contarino, Angela Leontini, Sergio Seminara, Regia Giuseppe Di pasquale, Scene Antonio Fiorentino, Costumi Angela Gallaro, Musiche Massimiliano Pace
Al Teatro Politeama di Poggibonsi 13, 14 febbraio 2007, il 21 aprile al Teatro Magnani di Parma, dal 16 al 27 maggio 2007 al Teatro Biondo di Palermo
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Nella storia di Andrea Camilleri si respira la Sicilia di
fine Ottocento, ma metafora dell’oggi: il socialismo strisciante contro
il benpensantismo ultracattolico, la
Smorfia dei numeri al Lotto, abusi di potere (“baciamo le
mani”) e mafia diffusa (“sono tutti appattati”).
L’affresco de “La
concessione del telefono”, romanzo del padre putativo del Commissario Montalbano del ’97, è una macchia
colorata dove si muovono, disinvolti, quelli dello Stabile di Catania (diretto
da Pippo Baudo). Tra tutti la punta Francesco Paolantoni,
molto salemmiano
e phisique du role, è il povero guappo di quartiere, il guaglione che la sfanga con piccoli sotterfugi e debiti,
corna parentali, un guascone divertente, cialtrone e imbroglione, ciarlatano e
traditore. Il linguaggio è un medley, comprensibile, tra un italiano demodé ed
un siciliano madre lingua infarcito di termini onomatopeici. Gli abiti coloratissimi,
i costumi sono di Angela Gallaro, sembrano sipari di
Lele Luzzati tappezzati di scritte, lettere mai
spedite, pizzini alla Provenzano.
Giacche salamandriche, vagamente militari e
mimetiche, patchwork di tessuti istrionici, puzzle
ammiccanti. Le barbe cavouriane. La scenografia di Antonio Fiorentino è monumentale:
cataste di volumi giganteschi, tomi impegnativi, fascicoli ingialliti, libri
ispessiti dalla burocrazia. Come le valigie di cartone degli emigranti in
America sono tenuti insieme da uno spago. Sono pratiche lasciate ad ammuffire,
chili di cartacce e polvere a formare un colosso di Rodi, una
statua, scultura piramidale e gerarchica, dove i registri ingombranti sono
gradini e pavimento, sedie e tavoli, tetto e tunnel. Una valle dei Re rigonfia
di carte bollate e gabelle che risulta la cosa migliore della piece.
Arricchiscono di dettagli e sale il boss locale, con gorilla stupido e
balbettante al seguito, i Carabinieri collodiani con
cavallo a dondolo in legno da giostra. La moglie di Paolantoni- Filippo Genuardi è
emula di Marisa
Laurito ed i due si proiettano in una pepata
versione dell’amplesso di “Harry ti presento Sally”.
Il sesso ritorna ridanciano e pruriginoso con la confessione che la moglie fa
al parroco lirico parlando di “unione alla socialista” per non dire sodomia. E
qui ritorna il tema di “Margarita ed il gallo”, sullo stesso palco alcune settimane
fa, anche se qui il finale è decisamente unhappy.
Voto
7 ½
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