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  29/03/2024 - 11:48

 

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La concessione del telefono
Dal romanzo di Andrea Camilleri
Di Andrea Camilleri e Giuseppe Di pasquale, con Francesco Paolantoni, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Marcello Perracchio, Gian Paolo Poddighe, Alessandra Costanzo, Pietro Montandon, Angelo Tosto, Giovanni Carta, Franz Cantalupo, Valeria Contarino, Angela Leontini, Sergio Seminara, Regia Giuseppe Di pasquale, Scene Antonio Fiorentino, Costumi Angela Gallaro, Musiche Massimiliano Pace
Al Teatro Politeama di Poggibonsi 13, 14 febbraio 2007, il 21 aprile al Teatro Magnani di Parma, dal 16 al 27 maggio 2007 al Teatro Biondo di Palermo

 




                     di Tommaso Chimenti


Nella storia di Andrea Camilleri si respira la Sicilia di fine Ottocento, ma metafora dell’oggi: il socialismo strisciante contro il benpensantismo ultracattolico, la Smorfia dei numeri al Lotto, abusi di potere (“baciamo le mani”) e mafia diffusa (“sono tutti appattati”). L’affresco de “La concessione del telefono”, romanzo del padre putativo del Commissario Montalbano del ’97, è una macchia colorata dove si muovono, disinvolti, quelli dello Stabile di Catania (diretto da Pippo Baudo). Tra tutti la punta Francesco Paolantoni, molto salemmiano e phisique du role, è il povero guappo di quartiere, il guaglione che la sfanga con piccoli sotterfugi e debiti, corna parentali, un guascone divertente, cialtrone e imbroglione, ciarlatano e traditore. Il linguaggio è un medley, comprensibile, tra un italiano demodé ed un siciliano madre lingua infarcito di termini onomatopeici. Gli abiti coloratissimi, i costumi sono di Angela Gallaro, sembrano sipari di Lele Luzzati tappezzati di scritte, lettere mai spedite, pizzini alla Provenzano. Giacche salamandriche, vagamente militari e mimetiche, patchwork di tessuti istrionici, puzzle ammiccanti. Le barbe cavouriane. La scenografia di Antonio Fiorentino è monumentale: cataste di volumi giganteschi, tomi impegnativi, fascicoli ingialliti, libri ispessiti dalla burocrazia. Come le valigie di cartone degli emigranti in America sono tenuti insieme da uno spago. Sono pratiche lasciate ad ammuffire, chili di cartacce e polvere a formare un colosso di Rodi, una statua, scultura piramidale e gerarchica, dove i registri ingombranti sono gradini e pavimento, sedie e tavoli, tetto e tunnel. Una valle dei Re rigonfia di carte bollate e gabelle che risulta la cosa migliore della piece. Arricchiscono di dettagli e sale il boss locale, con gorilla stupido e balbettante al seguito, i Carabinieri collodiani con cavallo a dondolo in legno da giostra. La moglie di Paolantoni- Filippo Genuardi è emula di Marisa Laurito ed i due si proiettano in una pepata versione dell’amplesso di “Harry ti presento Sally”. Il sesso ritorna ridanciano e pruriginoso con la confessione che la moglie fa al parroco lirico parlando di “unione alla socialista” per non dire sodomia. E qui ritorna il tema di “Margarita ed il gallo”, sullo stesso palco alcune settimane fa, anche se qui il finale è decisamente unhappy.

Voto 7 ½ 

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