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Fura Dels Baus - Manes, 1998
La scena della finzione teatrale
lascia il posto, tra il panico generale, ai mitra puntati alle tempie, ai passamontagna
calzati sulle facce, alle cariche esplosive seminate per il teatro. Va in scena
il dramma della platea russa presa in ostaggio per cinque giorni all’interno
del teatro moscovita Dubrovka da dissidenti ceceni il
23 ottobre del 2002 e conclusosi con l’uccisione oltre
che dei terroristi anche di tutti i prigionieri. Una vera strage degli
innocenti, un bagno di sangue che il governo Putin mise in atto, con gas
immessi attraverso le condutture dell’aria
condizionata, per non sottostare alle richieste dei rivoltosi. La cosiddetta
“tolleranza zero” portata all’eccesso delle conseguenze. A portarlo in scena
non poteva che essere La Fura dels
Baus, gruppo catalano controcorrente e provocatorio diviso tra teatro di strada, prosa, Opera e performance.
L’immagine è forte: una poltroncina rossa da sala con al
centro un colpo di fucile. Se sul palco nella realtà andava in scena un
musical, qui, nella finzione della Fura, prima dell’irruzione violenta del
gruppo armato, si sta recitando il “Boris
Godunov”, l’opera di Alexander Pushkin, un classico, una critica al potere. Il Godunov della Fura è stato presentato in anteprima questa
estate in Italia ai festival di Benevento, Mantova, Asti e Bolzano. “Non è una
performance – spiega Pedro Gutierrez, uno dei
protagonisti, in scena con la
Fura dal 2002 – ma un vero e proprio spettacolo teatrale”. Quindi niente a che vedere con l’interattività di
“Imperium”. Negli ultimi anni la Fura è stata protagonista a
Firenze del sensuale “XXX”,
del kafkiano “Metamorphosis”,
e recentemente delle Valchirie wagneriane al Comunale miscelando macchinerie e architetture
con la lirica. “Alcuni potevano pensare – continua il capo dei rivoltosi sulla
scena – che questa piece fosse un’apologia del
terrorismo, ed infatti molti giornali spagnoli hanno così titolato i loro
articoli. Invece volevamo far emergere proprio il
contrario. Prende spunto dall’irruzione dei terroristi ceceni e l’idea era quella di raccontare come fosse un documentario”. In un
non-luogo come può essere un teatro, dove tutto è finzione, dove l’attore deve
convincerti, e lo spettatore è disposto a farlo concedendogli la massima
fiducia e pagando un biglietto, che quello che sta dicendo sia spontaneo e
quindi vero, ma in realtà è un canovaccio studiato a tavolino, irrompe la
realtà, la dura e cruda realtà. Le cronache ci
ricordano che passarono una decina di minuti da quando gli spettatori russi si
resero effettivamente conto di quello che stava loro accadendo, che erano stati presi in ostaggio, che non era una farsa, che
quello che stavano vedendo non era un fuori programma spettacolare. “Oltre allo
spettacolo, che si svolge in tutto il teatro, sul palco
ma anche in platea tra le file delle poltroncine, ci sono anche intermezzi
video dove un gabinetto di crisi sta mettendo a punto un piano diplomatico per
trattare con i terroristi”. Nella realtà il tramite tra il governo russo e i
dissidenti di Grozny era Anna Politkovskaja,
la giornalista del “Novaja Gazeta”
assassinata per i suoi reportage dei crimini commessi dall’esercito sovietico
in Cecenia. durata: 1h45’;
Voto
7