Pippo Delbono: Questo buio feroce, 2008
Pippo Delbono: Urlo, 2007
Pippo Delbono: Racconti di giugno, 2006
Pippo Delbono: Guerra, 2003
Nel paradosso di una luce abbagliante, l’anoressico
auschwitziano Nelson, da pelle d’oca l’interpretazione sinatresca di “My way”
in mutande e microfono in stile sanremese, statua filiforme di Alberto
Giacometti ma in carne e, soprattutto, ossa, Ombra della sera etrusca, redige
una delle facce del poeta Brodkey morto di aids. Facce della fine della vita.
Della vita stessa. In “Questo buio feroce”, titolo rivolto più all’ironia ed
allo “scandalo” della vita che non al tunnel finale del decesso, Pippo Delbono è, se vogliamo, ancora più
raffinato e ricercato ed estetico nel mettere in luce archetipi di forme umane
traslucide, volti diversi dello stesso disagio, quadri di peregrine voci di
pellegrini e viandanti vaganti ed erranti da via crucis circondati da addetti infermieristici
ossessivi e claustrofobici da laboratorio in assetto da guerra batteriologica
anti-infettiva ed anti-contagio. La normalità ha le scarpe, la malattia è
scalza, come cantava Ivano Fossati “chi
non ha scarpe non ha ragione mai” o, di rimando, “chi non ha scarpe non ha
padroni”. Donne watusso, gravide e sgraziate, claudicanti con protesi alla Pistorius si
incamminano in sale d’aspetto illuminate, con un tavolo da ultima cena,
operatorio o da obitorio, banchetto del trapasso, come candelabri o neon che
calano-colano dal soffitto, da sacche ematiche. E’ un teatro del dolore, della
malattia, della morte e del rispetto compiuto dell’esistenza quando lo stesso Pippo, che spesso
taglia la scena in bianco in forte veste e presenza kantoriana, danza leggero,
in un corpo deformato ma armonico, in un ballo sfrenato posseduto, in un
trapianto o trasfusione che, con il movimento delle mani come rive di fiume
senza contorni, si scioglie sereno, s’incanala senza incresparsi, guarisce,
purifica. Transessuali e signore attempate alcolizzate e drogate rappresentati
come un lungo, scintillante e triste e vuoto, nelle occhiaie, Carnevale
veneziano, in una carrellata di figure colorate, un carillon dagli occhi
concavi e senza scintillio con dame, papi, monaci, due arlecchini, uno è Bobò
programmato come robot con una botola virtuale sulla schiena, perversioni sessuali.
Tutti cerchiamo la nostra scarpa di Cenerentola, per imparare a camminare
invece che continuare a barcollare.
Voto
8