Sarah
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa
Pochi
scrittori diventano figure di culto fin dal romanzo d’esordio: uno di loro è J.T. LeRoy, che è riuscito a conquistare
pubblico e critica riversando i suoi tormentati ricordi infantili ed
adolescenziali in Sarah, un giovane autore che ha cominciato a scrivere
su consiglio del proprio psicoterapeuta, per esorcizzare un passato di
prostituzione, droga, alcool e violenza. Il debutto di J.T. LeRoy è stato
talmente sorprendente che molti hanno ritenuto perfino eccessivo il suo talento
letterario, al punto da metterne in dubbio l’esistenza (con la complicità della
naturale ritrosia del giovin scrittore nei rapporti con i media) e da
attribuirne gli scritti alla mano del suo mentore letterario, Dennis Cooper. Il suo
secondo romanzo Ingannevole è il cuore più di ogni cosa – calzante
titolo d’ispirazione biblica – ha però confermato l’istintiva vena letteraria
dell’autore di Sarah, di cui il regista Gus Van Sant va
approntando la relativa traslazione sul grande schermo. La formula dell’opera
seconda di J.T. LeRoy è la stessa di Sarah, la struttura
più affinata sotto il versante narrativo – non il ‘classico’ romanzo di
formazione ma un romanzo ad episodi –, ed è cambiato il punto di vista
principale, dato che questa odissea americana on the road è raccontata
attraverso lo sguardo ingenuo e trasognato di un bambino. La storia è pura fiction,
come ha precisato lo stesso autore, ma presenta numerosi punti di contatto con
l’autobiografia di J.T. LeRoy: il piccolo Jeremiah, quattro anni, impara a
(ri)conoscere la sua diciottenne madre biologica, Sarah, attraverso il folle
sorriso di un pupazzo di Bugs
Bunny. Sarah ha ottenuto la tutela del figlio ed è venuta a strapparlo alla
coppia che finora l’ha amorevolmente allevato: per il piccolo protagonista
comincerà così un allucinante viaggio tra le marginalità dell’America, dietro
una madre ancora adolescente che passa dalle braccia di un boy friend
all’altro e che per tirare avanti si prostituisce: un’esistenza randagia e desolante tra
parcheggi per camionisti, roulottes che cadono a pezzi, balordi che si
fabbricano la droga in cantina e notti desertiche illuminate dal bagliore delle
stelle. Ingannevole
è il cuore più di ogni cosa sorprende per la felicità simbolica che
traspare pagina dopo pagina, dal noto
coniglio della Warner Bros fino al carbone avvelenato, tra lacrime di
pietra, mutandine con i pizzi, rossetti, babydoll, sangue, tampax capaci di
assorbire il male, bambole e candeggina in grado di lavare i peccati. Il piccolo Jeremiah
segue Sarah attraverso un lungo viatico di violenze fisiche e psicologiche,
costretto a travestirsi da bambina per essere meglio accettato dall’ennesimo
sfruttatore della madre, sempre pronta ad abbandonarlo per lo spostato di
turno, o parcheggiarlo nella famiglia rigidamente ortodossa che l’ha ripudiata,
tra le mani di un nonno predicatore che pratica la disciplina del dolore
applicando alla lettera il messaggio biblico. L’insostenibile capacità di J.T. LeRoy di aprire squarci d'immenso con naturalezza, dando forma ed anima
ai lati più oscuri dell’umanità, gli ha procurato uno stuolo di ammiratori
eccellenti che per certi versi l’hanno adottato: LeRoy, tanto per usare un
adagio da spot, piace alla gente che piace, tra cui
l’inossidabile Tom
Waits, Bono Vox degli U2,
la cantautrice Suzanne
Vega, Shirley Manson dei Garbage (che gli ha
dedicato il brano Cherry Lips) ed ovviamente il regista di Will
Hunting - Genio ribelle – il cui nome compare, con la madre Sarah, il
dottor Terrance Owens, il nume letterario Dennis Cooper e la sceneggiatrice del
film Patti Sullivan, tra i dedicatari di Ingannevole è il cuore più di ogni
cosa –. Il talento di J.T. LeRoy sembra non ingannare, ma sarebbe interessante vederlo
alla prova con generi radicalmente diversi. Vedremo.
J.T. LeRoy, Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, Roma, Fazi, 2002; pp. 237
Voto
7
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