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  25/04/2024 - 14:14

 

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Elena Aime
Breve storia del cinema indiano
Alla scoperta di Bollywood e non solo
Lindau, Strumenti, pp.260, € 17,50

 




                     di Matteo Merli


Negli ultimi tempi il cinema indiano ha raggiunto le cronache, grazie ad una prolificità che raggiunge circa gli 800 film all’anno, diventando la cinematografia più prolifica del mondo, ma distinguendosi sul mercato attraverso i musical di Bollywood e una cinema d’autore proveniente dalle diverse regioni di questo immenso stato. Bisogna ricordare che il pubblico di spettatori è di 13 milioni al giorno, per il quale il cinema rappresenta un momento di aggregazione della famiglia, che si riunisce soprattutto nelle festività, ballando e cantando sulle musiche di film conosciuti a memoria. Oggi, purtroppo si assiste ad un calo d’interesse per il grande schermo, a causa dell’avvento del mezzo televisivo, anche se per moltissimi anni il cinema ha retto un primato invidiabile, sostituendosi a sua volta al teatro, a suo tempo seguitissimo. Ovviamente la settima arte è stato anche un coagulante nell’India contemporanea, dove tradizione e modernità, antichi miti e nuove tecnologie si intrecciano, diventando il promotore di una forma urbana di un’antica usanza. Quindi i produttori hanno investito molto nelle coreografie e nelle musiche, piuttosto che sul linguaggio cinematografico. In fondo in un paese dove gli altri mezzi di comunicazione hanno scarsa efficacia, la settima arte è il solo strumento per apprendere informazione sulla realtà. Un complesso produttivo completamente asservito al proprio pubblico e alle sue esigenze, che ha potuto superare i propri confini, conquistando i mercati interni di paesi culturalmente dissimili, eppure sensibili al fascino coreografico di queste pellicole. Sono molti i paesi non occidentali dove esiste una regolare programmazione di film indiani nelle sale, e tra questi c’è l’intero continente africano e i paesi arabi. Certo che la realtà indiana è molteplice, visto che esistono diversi centri di produzione, distribuiti in diverse regioni con distinti criteri linguistici e stilistici, creando un forte spartiacque tra il cinema di puro intrattenimento e quello d’autore, apprezzato nei festival d’oltreoceano. Innanzitutto il lavoro di Elena Aime è strutturato in maniera articolata, che parte dagli esordi al passaggio dal muto al sonoro, con il conseguente boom del cinema, per passare all’analisi del tramonto degli studios ai primi sintomi di indipendentismo cinematografico, senza dimenticarci di una figura enorme come l’autore Satyajit Ray, alfiere di una rivoluzione visiva ancora oggi poco apprezzata. Si passa poi a settaccio le diverse forme di questo cinema parallelo a quello Bollywoodiano, studiandone le espressioni, gli autori e i temi dominanti, con un occhio di riguardo ai contesti produttivi e istituzionali. Suggestivo il capitolo dedicato alle diverse componenti del cinema indiano, suddivisi per stati e importanza linguistica. Un saggio davvero ben fatto, che mette al centro le diverse sfaccettature di una cinematografia apprezzata con uno sguardo troppo esotico dai noi spettatori, e poca conosciuta nelle sue diverse diramazioni produttive e storiche, che pian piano sta arrivando sugli schermi occidentali, grazie ai successi di Lagaan e Asoka, senza scordarci della statura di nuovi autori come Gautam Ghose e Buddhadeb Dasgupta.

Voto 8 

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