Elena Aime
Breve storia del cinema indiano
Alla scoperta di Bollywood e non solo
Lindau, Strumenti, pp.260, € 17,50
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Negli ultimi tempi il cinema indiano ha
raggiunto le cronache, grazie ad una prolificità che raggiunge circa gli 800
film all’anno, diventando la cinematografia più prolifica del mondo, ma
distinguendosi sul mercato attraverso i musical di
Bollywood e una cinema d’autore proveniente dalle diverse regioni di questo
immenso stato. Bisogna ricordare che il pubblico di spettatori è di 13 milioni
al giorno, per il quale il cinema rappresenta un momento di aggregazione della
famiglia, che si riunisce soprattutto nelle festività, ballando e cantando
sulle musiche di film conosciuti a memoria. Oggi, purtroppo si assiste ad un
calo d’interesse per il grande schermo, a causa dell’avvento del mezzo
televisivo, anche se per moltissimi anni il cinema ha retto un primato
invidiabile, sostituendosi a sua volta al teatro, a suo tempo seguitissimo.
Ovviamente la
settima arte è stato anche un coagulante nell’India contemporanea, dove
tradizione e modernità, antichi miti e nuove tecnologie si intrecciano,
diventando il promotore di una forma urbana di un’antica usanza. Quindi i
produttori hanno investito molto nelle coreografie e nelle musiche, piuttosto
che sul linguaggio cinematografico. In fondo in un paese dove gli altri mezzi
di comunicazione hanno scarsa efficacia, la settima arte è il solo strumento
per apprendere informazione sulla realtà. Un complesso produttivo completamente
asservito al proprio pubblico e alle sue esigenze, che ha potuto superare i
propri confini, conquistando i mercati interni di paesi culturalmente
dissimili, eppure sensibili al fascino coreografico di queste pellicole. Sono
molti i paesi non occidentali dove esiste una regolare programmazione di film
indiani nelle sale, e tra questi c’è l’intero continente africano e i paesi
arabi. Certo che la realtà indiana è molteplice, visto che esistono diversi
centri di produzione, distribuiti in diverse regioni con distinti criteri
linguistici e stilistici, creando un forte spartiacque tra il cinema di puro
intrattenimento e quello d’autore, apprezzato nei festival d’oltreoceano.
Innanzitutto il lavoro di Elena
Aime è strutturato in maniera articolata, che parte dagli esordi al
passaggio dal muto al sonoro, con il conseguente boom del cinema, per passare
all’analisi del tramonto degli studios ai primi sintomi di indipendentismo
cinematografico, senza dimenticarci di una figura enorme come l’autore Satyajit Ray,
alfiere di una rivoluzione visiva ancora oggi poco apprezzata. Si passa poi a
settaccio le diverse forme di questo cinema parallelo a quello Bollywoodiano,
studiandone le espressioni, gli autori e i temi dominanti, con un occhio di
riguardo ai contesti produttivi e istituzionali. Suggestivo il capitolo
dedicato alle diverse componenti del cinema indiano, suddivisi per stati e
importanza linguistica. Un saggio davvero ben fatto, che mette al centro le
diverse sfaccettature di una cinematografia apprezzata con uno sguardo troppo
esotico dai noi spettatori, e poca conosciuta nelle sue diverse diramazioni
produttive e storiche, che pian piano sta arrivando sugli schermi occidentali,
grazie ai successi di Lagaan e Asoka, senza scordarci della statura di nuovi
autori come Gautam
Ghose e Buddhadeb Dasgupta.
Voto
8
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