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In occasione dell'anteprima de L'ora di religione di Marco Bellocchio abbiamo incontrato il protagonista, Sergio Castellitto, uno degli attori italiani più versatili e più apprezzati all'estero. Castellitto, già interprete sul piccolo schermo della fiction su Padre Pio, ci ha raccontato la sua esperienza sul set ed il suo approccio ad un personaggio obiettivamente difficile.
Per Sergio
Castellitto come è stato essere diretto per la prima volta da Bellocchio?
Ad esser precisi è stata la prima volta da attore
protagonista ma non la prima in assoluto: infatti doppiai Lou Castel ne Gli
occhi, la bocca.
Come si è rapportato con il protagonista, un personaggio complesso, sicuramente difficile?
Quando ho letto la sceneggiatura la prima volta io
non ho capito, credo di non aver capito nulla della storia in sé, però
l’esperienza mi ha insegnato che oltre alla comprensione esiste la percezione,
e talvolta la percezione permette di non commettere degli errori: io ho avuto
la fortuna in qualche misura di non fermarmi a quel non comprendere, perché
sentivo che c’era un’anima che a me ancora non s’era rivelata dopo la prima
lettura. Ma che sentivo. Inoltre ho avuto una ‘rivelazione’ importante: Marco Bellocchio
nasce come pittore, io non lo sapevo e l’ho scoperto nel corso del film, e
allora ho ritrovato nella prima lettura della sceneggiatura – gli attori in genere
hanno la pretesa di volere il quadro finito del film, avendo chiaro l’inizio,
lo svolgimento e la fine – come una sorta di tavolozza, di graffio, di bozza
sul quale poi Bellocchio
avrebbe inserito i colori, le armonie, le prospettive e così via. Se il
personaggio sia facile o difficile non lo so: sicuramente è difficile fare le
cose bene. Non è per complimentarmi con lui ma io raramente ho trovato un
regista che suscitasse un tale entusiasmo nelle persone con le quali ha
lavorato sul set. E, dato che fare un film non è soltanto fare delle riprese ma
è anche un percorso umano – sono dieci-dodici settimane passate insieme –,
allora la qualità di quelle giornate a lavorare insieme è un ricordo
importante. Bellocchio
ha detto che io ho dato suggerimenti, in realtà la cosa importante è che
servono molta intelligenza ed autorità ‘reale’ a consentire una simile forma di
democrazia sul set. In genere i registi non sono così disponibili: se lo può
permettere solo chi veramente ha la sapienza della professione. Inoltre era da
tanto tempo che non ritrovavo uno spirito anche studentesco: pur essendo il
taglio della storia sostanzialmente drammatico, trovo che, come è stato
scritto, il film
sia una combinazione di dubbio ed entusiasmo. C’è molta energia nella storia,
perché c’è energia in ogni personaggio che cerca di dire la verità.
Lei si aspettava tutte le polemiche che hanno accompagnato l’uscita de “L’ora di religione”?
Beh,
certo, è evidente, poi in un contesto storico-politico delicatissimo come
quello attuale... Però tengo a ribadire che questo non è un film contro il mondo
cattolico, è un film sulle ipocrisie della società civile, sulle modalità con
cui gestiamo le relazioni umane, su come costruiamo business intorno a
qualunque cosa. Non è un film contro la religione in sé: in
realtà c’è solo un personaggio di sacerdote che svolge il suo compito di
cardinale, rivelando in certi momenti anche una grandissima umanità. Lo stesso
protagonista, Ernesto, davanti a lui quasi cade in questa ipnosi emotiva,
sentendo il bisogno emotivo di curvarsi parlando della propria vita, di se
stesso, del rapporto con una madre che aveva un sorriso apparentemente
affettivo e dolcissimo, ma forse anche involontariamente ‘micidiale’. Così il
personaggio, passando in rassegna il suo percorso personale ritrova i vuoti
della sua vita e si ritrova a fare i conti. Purtroppo si tende spesso ad
appiattire il film sulla questione
religiosa, ma il film è ricchissimo di altre tematiche: l’identità, il
rapporto con il figlio (che significa come proteggerlo ed educarlo, come
rispettare la sua libertà), il rapporto tra un uomo e una donna che si sono
separati, l’innamoramento, l’amicizia ed il rapporto contrastato con la propria
famiglia, l’arte (in questo film il protagonista al computer prende l’Altare
della Patria e lo trasforma in qualcosa di completamente diverso). E’ un film
pieno di idee e di immagini, a prescindere dalla tematica religiosa. Per quanto
riguarda la bestemmia pronunciata da un personaggio, fonte di molte polemiche,
voglio ricordare che Ermanno Olmi, la cui religiosità non è in discussione, con
sensibilità l’ha avvertita come un grido di dolore. E si tratta proprio di
questo.
Voto
7½